Morìa delle api, tutto sull'inchiesta: gli indagati, i sequestri e le ritorsioni

Non basta, cioè, documentare la presenza di fatture d’acquisto e sacchi vuoti delle sementi nelle aziende. E a nulla servono, soprattutto, le ammissioni qua e là fornite dagli stessi agricoltori agli uomini del Corpo forestale regionale nel corso delle indagini preliminari: trattandosi di dichiarazioni autoindizianti, raccolte in sede di sommarie informazioni testimoniali senza la tutela di un’assistenza legale, non possono che essere bollate come «inutilizzabili».
Centinaia di indagati
È un’ordinanza che accoglie in toto le ragioni difensive quella con cui il tribunale del riesame di Udine ha annullato una prima tranche di provvedimenti di sequestro preventivo emessi dall’ufficio gip dello stesso tribunale friulano sugli appezzamenti di terreno di una ventina dei circa 400 agricoltori indagati dalla Procura di Udine per l’ipotesi di reato di inquinamento ambientale.

Altrettanto ha deciso il secondo collegio chiamato a vagliare le richieste di un altro numeroso gruppo di ricorrenti (il deposito delle motivazioni è atteso per oggi), mentre una nuova discussione è in calendario per lunedì. Intanto, a proseguire sono anche le notifiche degli ulteriori decreti di sequestro chiesti dal pm Viviana Del Tedesco, titolare dell’inchiesta, e disposti - tutti, dal primo all’ultimo - dai cinque gip cui le istanze erano state di volta in volta sottoposte.
La discussione
Soddisfatti i difensori, a cominciare dall’avvocato Cesare Tapparo, che assiste la maggior parte degli indagati, compresi quelli riuniti nel Comitato spontaneo agricoltori friulani, in Confagricoltura e Cia. Con lui, in aula, a dare battaglia per ore nelle udienze celebrate tra mercoledì e giovedì, l’avvocato Alberto Tedeschi, fiduciario dei soci della Coldiretti, e i colleghi Elisa Galletti e Giuseppe Monaco.
È spettato all’avvocato Tapparo soffermarsi, in particolare, sulle questioni di carattere tecnico procedurale. Sui motivi, cioè, volti a dimostrare l’atipicità della misura cautelare. «L’istituto del sequestro ex articolo 321 – ha osservato – è stato degradato a una misura inibitoria estranea all’ordinamento, inidonea anche alle finalità recuperatorie e ripristinatorie, non potendo portare a una confisca in caso di condanna.
Quasi una clausola in bianco, generalizzante e molto pericolosa per l’attività agricola», ha aggiunto, ricordando l’estensione del divieto «a qualsiasi altra coltivazione che richieda la concia del seme o il trattamento della pianta con insetticidi tossici».
Nè, ha eccepito Tapparo, può valere la formula del sequestro d’uso in materia ambientale (quello, per intendersi, a suo tempo applicato al caso Caffaro), cui si fa ricorso per cicli produttivi industriali intensivi e in presenza del presupposto della salvaguardia del ricatto occupazionale (qui assente).
Le analisi
Centrale anche il tema dell’inutilizzabilità delle sit. «La polizia giudiziaria – hanno osservato i legali – ha violato le norme sulle garanzie difensive previste nel caso in cui le dichiarazioni finiscano per essere autoindizianti». Il riferimento è alle ispezioni condotte tra il giugno e il luglio del 2018.
«All’epoca, anche se non erano ancora formalmente iscritti sul registro – hanno ribadito - dovevano considerarsi già indagati sostanziali, visto che questa indagine altro non è che la prosecuzione di quella conclusa con i 21 patteggiamenti di ottobre.
Quando – tengono a precisare – a essere contestato era stato l’utilizzo di sostanze antiparassitarie vietate (denominate neonecotinoidi, ndr) e non lecite e autorizzate come il Mesurol». Un orizzonte di «totale carenza probatoria e investigativa» quello lamentato dalla difesa, in cui «l’unica prova si voleva fare risalire all’analisi su un campione prelevato in un apiario il 24 aprile.
Ebbene – osserva Tedeschi, ricordando gli esiti della consulenza affidata a Carlo Pascolo – la percentuale di Methiocarb trovato è irrilevante ai fini della morìa e c’erano altre tracce di insetticidi usati dagli stessi apicoltori per la cura della varroa».
Procura in Cassazione
Nella prospettiva accusatoria, tuttavia, il responso dei giudici non ha affatto assunto i contorni della disfatta. Perchè nell’ordinanza a firma del presidente Angelica Di Silvestre è stata ravvisata l’«abusività della condotta», laddove gli agricoltori non rispettino le prescrizioni delle schede tecniche dei prodotti fitosanitari. Il problema è dimostrarlo.
L’illecito, insomma, «non può desumersi da dichiarazioni inutilizzabili». Nè si può «ritenere irrilevante l’acquisizione di dati obiettivi su quantità e caratteristiche della dispersione di Mesurol attribuibile a ciascuno dei ricorrenti».
Il caso, comunque, sembra pronto ad approdare in Cassazione. «La stella polare del nostro agire – ha detto il procuratore Antonio De Nicolo – era e resta la tutela dell’ambiente. Devo ancora esaminare le motivazioni, ma tra le righe ho già scorto un passaggio importante che conferma il fondamento giuridico dell’indagine: il concetto di abusività è integrato anche dalla mera violazione delle prescrizioni.
Del resto, quello che si è profilato non è un conflitto fra Procura e tribunale, ma una rotta di collisione tra due distinte sezioni del tribunale: cinque gip da una parte e sei giudici dall’altra». —
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