Così muoiono le api, l'appello agli agricoltori: «Tenete alta la guardia sui rischi dei pesticidi»

UDINE. Le ultime notizie sul fronte della moria delle api hanno riacceso l’interesse dell’opinione pubblica nei confronti di questi preziosi impollinatori e fatto emergere alcuni aspetti su cui vale la pena di soffermarsi. Innanzitutto, è bene fare chiarezza sull’oggetto in discussione.
L’espressione “moria delle api” è in uso ormai da molti anni per indicare, in senso lato, i problemi di salute che le api domestiche, ma anche quelle selvatiche, stanno incontrando un po’ in tutto il mondo.
Le cause del problema sono molteplici e vanno dalla carenza di risorse nettarifere e pollinifere che servono alle api per il sostentamento, a malattie di vario genere, all’effetto nocivo di molti agro-farmaci che contaminano polline e nettare, all’impatto dei cambiamenti climatici. Dunque, si tratta di un fenomeno che ha diverse cause le quali, a seconda delle situazioni, possono giocare un ruolo più o meno importante.
Ma per moria delle api, in senso stretto, si intende anche ciò che accade quando un gran numero di api di un alveare muore prematuramente, in modo improvviso, a causa di vari fattori. Tra essi il principale sono gli avvelenamenti che si verificano quando le api bottinatrici incontrano in campagna, sui fiori da esse frequentati, dei prodotti chimici letali usati in agricoltura per combattere gli insetti dannosi o altre malattie.
Anche questo tipo di moria, però, può avere cause diverse; ad esempio, non è infrequente osservare un gran numero di api morte fuori da un alveare come risultato dei combattimenti fra api che si scatenano quando un alveare ne saccheggia un altro per rubare il miele ivi contenuto. Si può addirittura dare il caso di morie causate, involontariamente, dall’apicoltore medesimo, trattando impropriamente l’alveare per combattere dei parassiti.
Qualche anno fa, a causa della diffusione in agricoltura di certe molecole particolarmente aggressive, appartenenti alla classe dei neonicotinoidi, le morie causate da avvelenamenti avevano raggiunto livelli preoccupanti ma, fortunatamente, la messa al bando di quelle sostanze da parte dell’Unione europea, dopo che studi molto accurati avevano permesso di accertarne in modo incontrovertibile la pericolosità, ha permesso di risolvere quel problema.
Tuttavia le api continuano a morire e ogni anno circa un quarto delle colonie allevate nell’emisfero settentrionale del nostro pianeta se ne va, per essere rimpiazzato la stagione successiva con sempre maggiori sforzi da parte degli apicoltori.
Non è escluso che il problema sia talvolta legato ad altri pesticidi di cui non è stata ancora accertata la pericolosità; in altri casi le morie potrebbero dipendere dall’uso non corretto di sostanze già note.
Per questa ragione è bene mantenere sempre alta la guardia nei confronti dei rischi legati ai pesticidi, tuttavia, è anche importante riconoscere, una volta per tutte, la multifattorialità del fenomeno della moria, per non trascurare alcuna delle cause scatenanti ed agire, laddove possibile, per rimuoverle o mitigarne gli effetti.
In particolare, è opportuno considerare che le api si nutrono di quello che trovano entro uno, due chilometri dal loro alveare e che per produrre un chilo di miele hanno bisogno di visitare milioni di fiori. Di conseguenza, è facile immaginare come un paesaggio in cui siepi, boschi, alberature e prati polifiti sono stati cancellati senza pietà, spesso non offre a questi insetti neanche il minimo per sfamare se stessi.
Perciò, ma non solo per questo, è bene ripensare al nostro approccio verso la vegetazione spontanea degli agroecosistemi, per evitare che interventi scellerati depauperino una risorsa essenziale in nome di paradigmi produttivi più adatti al Mid-West americano che al Friuli.
D’altro canto, l’approccio alla cura del verde pubblico nelle città spesso rivela in modo lampante la miopia da cui siamo affetti, con magnifici alberi di tiglio, che a inizio estate offrirebbero agli insetti quintali di nettare, ridotti a totem desolati.
Ma non bisogna dimenticare che, tuttora, il maggior pericolo per la salute delle api sono parassiti e patogeni, per combattere i quali è necessario che gli apicoltori intervengano tempestivamente ed efficacemente. E qui il discorso si fa complicato poiché i prodotti usati contro i parassiti sono spesso nocivi anche per le api e se usati impropriamente possono anche causarne la morte.
Altrettanto nocive possono poi rivelarsi certe pratiche che, invece, vengono talvolta attuate senza la sufficiente cura, come la nutrizione supplementare con sostanze di dubbia salubrità o lo sfruttamento eccessivo del raccolto delle api.
Dunque nessuno, neanche gli apicoltori, può esimersi da una riflessione approfondita sui propri comportamenti e soprattutto da un formazione adeguata perché pilotare una nave con cinquantamila passeggeri a bordo, attraverso mari tempestosi (di fatto, questo è l’apicoltura al giorno d’oggi) non è cosa da fare senza una sufficiente preparazione.
Infine, una considerazione sugli agricoltori. I problemi delle api sono certamente problemi degli apicoltori, i quali con sempre maggior fatica conducono questa attività a favore di se stessi ma anche di tutti noi. I problemi delle api sono anche un problema dei comuni cittadini ormai sempre più attenti ai molti segnali di allarme inviati da un pianeta gravemente malato.
Però, i problemi delle api sono, soprattutto, un problema degli agricoltori poiché, effettivamente, l’agricoltura non può fare a meno delle api, dato che almeno tre quarti delle colture agrarie beneficia dell’impollinazione da parte di qualche animale e soprattutto delle api.
Di conseguenza, non solo sarebbe opportuno che gli agricoltori cercassero di astenersi scrupolosamente da qualsiasi pratica potenzialmente nociva per i pronubi ma, anzi, sarebbe importante che considerassero ogni azione di tutela dei pronubi come un vero investimento, nell’ottica di produzioni più abbondanti, sane e sostenibili.
Le api rappresentano uno straordinario esempio di cooperazione poiché un chilo di miele è il risultato dell’andirivieni di centinaia di insetti che raccolgono il nettare per la colonia, mentre le compagne di nido si dedicano ad allevare la prole o a difendere l’alveare, per mantenere in vita un super-organismo formato da migliaia di esseri.
Perché non prendere sul serio questo esempio che sopravvive da milioni di anni e ci esorta silenziosamente ad una azione coordinata per il bene comune?
Tutti insieme, per assicurare una vita migliore agli insetti ma soprattutto all’uomo: governanti che legiferano a tutela dell’ambiente, amministratori che ne valorizzano le risorse, apicoltori che accudiscono le api consapevoli del proprio ruolo, ricercatori che si sforzano di comprendere cause e rimedi dei fenomeni, agricoltori che fanno dei pronubi i migliori alleati e, infine, voi che mi avete seguito fin qui, che con tante piccole azioni quotidiane, potete influenzare tutti costoro. —
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