Omicidio sul Tagliamento, il terzo racconto in finale per il premio Scerbanenco

Nel fiume viene trovato un cadavere: maschio, circa trent’anni, nordafricano. Sarebbe morto per annegamento, se la coltellata al petto fosse stata meno precisa

Ecco il terzo racconto finalista scelto dalla giuria del premio Scerbanenco@Lignano per il racconto giallo: dopo “Sangue sul lavatoio”, di Giuseppe Mariuz (San Vito al Tagliamento), e “La saracinesca abbassata” di Silvia Monego (Trieste),oggi è la volta di “Sul Tagliamento”, di Raffaele Serafini (Lestizza).

Ricordiamo anche i tre finalisti della sezione “Ragazzi”: Stefano Di Iulio (Udine), Alberto Mizza (Udine) e Riccardo Corradin (Lignano). I loro racconti saranno pubblicati a ottobre nelle pagine dell’inserto “Mv Scuola”.

Sabato 31 agosto è il momento delle premiazioni: alle 18.30 in Terrazza a mare, presente lo scrittore Carlo Lucarelli e il direttore della collana “Giallo Mondadori, Franco Forte, si conoscerà dunque il vincitore dell’edizione 2019 del premio dedicato al maestro del giallo.

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Sei seduta alla scrivania, a rigirare la foto tra le mani, con i pollici che fanno da cornice e lo smalto rovinato. Sullo sfondo c’è lui, il Tagliamento, un letto scomodo di sassi e ciuffi avviticchiati, chiazzato di salici bianchi e pioppi neri, dinoccolati e assetati, a spartirsi l’acqua della stessa pozza. I piedi del cadavere continuano a infastidirti: entrambi sono gonfi e bianchi, ma uno è scalzo e l’altro porta un sandalo. Tu, da sempre detesti, le asimmetrie. Deformazione professionale.

Tracce di sangue sul lavatoio, il primo racconto in finale per il premio Scerbanenco


Sul resto c’è poco da dire: maschio, circa trent’anni, nordafricano. Nessun documento e sarà difficile dare una forma al viso, rimasto a lungo nella mota in cui le correnti l’hanno sputato. Ma anche se fosse, a chi chiedere di identificarlo? Sarebbe morto per annegamento, se la coltellata al petto fosse stata meno precisa.

Omicidio volontario, ti ripeti. Merce rara, in Friuli.

Meno di uno ogni centomila abitanti. È matematica.

Quella saracinesca abbassata, il secondo racconto in finale per il premio Scerbanenco


Ma gli omicidi hanno un colpevole. È logica. Matematica umana, se vogliamo. La conosci bene. E il colpevole si trova quasi sempre. Se non accade, di solito, è per gli errori compiuti da chi cerca. In questo caso tu.

Il tuo primo fidanzato, cercando di farti appassionare al calcio, ti ripeteva sempre: «Non esiste un rigore parato, ma solo un rigore sbagliato». Tu, per anni, non hai mai capito cosa intendesse, ma alla fine ci sei arrivata. Con un crimine è lo stesso. Ripensi a quelle parole e ripensi a lui. Primo e unico fidanzato serio, che conoscevano anche i tuoi genitori, che aveva le chiavi di casa, che hai portato ai matrimoni delle amiche. Ai battesimi. Poi tutto è finito.

I matrimoni, i battesimi, le amiche, il fidanzato. Ti chiedi perché, ma conosci la risposta. Hai un lavoro che come il tempo, sui bordi di un adesivo, corrode e logora. Prima o poi, anche l’attaccamento più tenace cede. E a te non rimane che un ricordo appiccicoso, che non trovi mai il tempo di cancellare. Non ci fai quasi più caso. È una febbre, una missione, una passione. Rima che ti spinge a rinunce e abbandoni.

Ecco perché hai accettato quell’invito a cena, pochi giorni fa. Perché il grigio fatica a nascondersi, nonostante i ricci biondi. Perché il letto matrimoniale si allarga e raffredda. Perché le giunture delle ginocchia scricchiolano a ogni scalino. E come gli omicidi, anche una vecchia amica che si fa risentire è merce rara.

Ciao, Fernanda.

Claudia! Che piacere!

E ti accorgi che i mesi di silenzio forse si son fatti anni. Fernanda… persino il tuo nome ti suona strano. Sei tu? Sei ancora tu? E lei? Si era sposata, certo. Figli? Sì, uno, ma poi, maschio o femmina? Non ricordi. Del resto, non hai Facebook. Sfuggi i gruppi What’s up e agli aperitivi hai sempre disertato. C’è il lavoro, prima, perché funziona così: qualcosa succede sempre. Ogni giorno.

Ho saputo che tu e Giulio… abbozzi.

Non me parlare, va. Oramai è acqua passata, piuttosto…

Ed è arrivata la proposta di un’uscita a quattro. Una trattoria in riva al fiume. Una cosa informale, a metà settimana. Tu, lei e Davide, l’uomo che frequenta. Divorziato, una storia burrascosa, stempiato, ma un fisico tonico, un inutile diploma e un lavoro come rappresentante di non si sa che. Uno con il cellulare sempre in mano e la paura di invecchiare.

L’auto sportiva, la camicia alla moda, la barba fin troppo curata. Politica, sport, lavoro: un triangolo dove la conversazione sprofonda. Il suo amico si chiama Walter. Sarebbe quello per te, quello con cui chiacchierare, magari legare; ma lui non parla, non lega. Ha uno sguardo impacciato, e non sembra timidezza. È più supponenza, quasi fastidio.

È magro, gracile, ma muove le mani in modo nervoso, sminuzza il pane e sulla tovaglia sembra aver nevicato. Si tocca un cerotto sul mignolo, balbetta un po’. Forse nemmeno lui vorrebbe essere lì. Percepisci un sospiro, all’arrivo del cameriere, come accettasse l’inevitabilità della serata.

Si comincia.

Prosecchino, affettati, chiacchiere.

Il caldo, il clima, la gente, i giovani, gli immigrati, Trump, la terza corsia, Ah, ma sei di. Dove? Che lavoro fai? Ah, però.

E poi arriva la domanda. Quindi tu saresti in grado di…

Di?

Uccidere qualcuno senza farsi beccare. Il delitto perfetto, no?

Tu sai come si fa, ti dicono. Risate. Imbarazzo. Il cameriere abbozza un Mi scusi mentre sparecchia il vassoio. Non ricordi nemmeno chi è stato a porla. I primi tardano, il vino a stomaco vuoto ti fa straparlare. È una domanda che ti hanno già posto, ma non le hai mai dato un peso; un abito, seppur succinto, di serietà. Sono questioni oziose, discorsi da osteria, appunto, da luoghi comuni di serie TV.

Forse per questo hai risposto, elencando istruzioni.

Un crimine è come un sasso lanciato in acqua. Ogni cerchio è un movente, più o meno lontano. Ci sono sassi che ne hanno pochi, come una donna infedele con un marito geloso, e altri che agitano la superficie molte volte, come uno spacciatore o un violento. È questa la prima regola. Un omicidio senza movente. Uccidere una persona a caso, ma una di quelle che provocano tanti cerchi, piste da seguire, inutilmente. Indagini sprecate.

E poi è importante scegliere. Le indagini costano, e non è come alla TV. Dna, ricostruzioni facciali, perizie balistiche… non sono diritti di ogni cadavere. I morti non sono tutti uguali. I morti fanno rumore. Immigrati e barboni sono piume cadute tra le piume. Chi viene dalla quotidianità è una casa che frana sulla folla, all’improvviso. Il chiasso è inversamente proporzionale alla distanza che ci separa dalla vittima.

Hai parlato in fretta. Eri stufa di tacere. Di sentire quell’imbecille di Davide che blatera di 35 euro e di spread. Eri stufa di Walter, che fissa il piatto vuoto e le tue rughe. Eri stufa di Claudia, che ride come un’oca, anche mentre parla, e non fa che denigrare l’ex marito, incattivita. Non la riconosci più.

Hai parlato con trasporto e non ti sei accorta che il cameriere, scocciato, si è fermato alle tue spalle con i piatti fumanti e un sorriso bizzarro sulla faccia. Lo guardi per la prima volta e sopporti poco anche lui, per i suoi vent’anni, i tatuaggi e il fisico palestrato. E così procedi, quasi fosse un esercizio di stile.

E poi è importante il come. Una donna non sceglie di uccidere a coltellate. Un uomo raramente usa il veleno. Per questo, sapendolo, bisognerebbe scegliere il modo meno adatto.

E poi ci sono le tracce. Ogni cosa è traccia, impronta; ma tutte si riconducono in due tipologie: eliminabili e non eliminabili. Telefonini, internet, social network, flussi digitali, segnali gps, telecamere di servizio… appartengono a questa seconda categoria e vanno completamente evitati. Un coltello da cucina sporco di sangue, invece, è sufficiente finisca tra i rifiuti giusti e sparirà per sempre.

E infine bisogna scegliere bene il dove e il quando. Zone isolate, prive di abitazioni, di gente al lavoro. Ecco, sul Tagliamento è pieno di posti adatti, soprattutto verso sera. Magari durante un giorno feriale, in questa stagione in cui non si lavorano i campi.

Scoli il bicchiere e li guardi. Si complimentano.

Walter chiede qualcosa, sembra interessato al lato operativo, a ciò che si fa o non si deve fare. Ti dice di avere quasi una laurea in giurisprudenza. Poi ti chiede delle impronte digitali, dei guanti. E tu gli rispondi che se non sei un sospettato e non compari nelle banche dati, ne puoi lasciare a centinaia.

Claudia invece sembra assente, rapita dai suoi pensieri. Continua a ridacchiare senza motivo. Ma io non ho le forze di accoltellare qualcuno, ti dice. E tu le spieghi che non è questione di potenza. Le spieghi dove colpire, qual è il miglior coltello, come ruotare la lama dentro la ferita.

Davide quasi ti applaude. Ci vorrebbe un vendicatore, sbotta, uno che fa fuori quelli che dice lui. E lì parte nella divisione del mondo in categorie. Quelli scuri, cattivi. Con la divisa, buoni. Cognome con troppe consonanti, cattivi. Amanti degli animali, buoni. E via così.

Vorresti dirgli che non sa niente. Che lo sai tu, chi è buono e chi è cattivo per davvero. E che glieli presenteresti, i cattivi, per raccontargli di come siano capaci di tagliare i piedi a una donna che non vuole prostituirsi e violentarla mentre muore.

E poi fare lo stesso con la figlia, che ha visto tutto. Raccontargli che gente così non ha colore o divisa o cognome che la accomuni. Sono animali, bestie, esemplari unici da cacciare fino all’estinzione. Ma la legge, ti dici, non è una caccia sufficiente. Sfuggono. Sfuggono sempre. Davide ridacchia, spara altre cattiverie, e tu devi sforzarti per non lanciargli in faccia le salsicce.

Anche l’alluce gonfio d’acqua di quel piede nudo sembra una salsiccia.

Riponi la fotografia nel fascicolo dell’indagine, sollevi gli occhi sul tuo collega, seduto di fronte, in ufficio, che ti ha ascoltato senza interromperti.

«A Ferna’, e’sta cazzata ti sta mandando in crisi? Si chiamano coincidenze».

«Ovvio. Ma resta che di quel cadavere non esce niente, giusto? »

«Uscirà, uscirà. Appena scopriamo chi è. E te lo dico già io come andrà a finire: regolamento di conti. È un pappone. Fidati».

«Sì, Sì, non dubito, ma… se non ti scoccia, dovresti…»

«Vuoi che allarghi l’indagine anche alla tua amica e ai due buzzurri, giusto? »

«E sul cameriere, se puoi».

«Okay», sbuffa, «Dammi qualche ora».

Mi faresti stare più tranquilla, dici e rimetti il fascicolo nel raccoglitore. Poi ti alzi, più leggera, e per oggi ti dici che hai lavorato abbastanza. Ti aspetta la casa vuota, un inverno che comincia a farsi sentire. Sai che Spangaro eseguirà col massimo zelo.

Per lui sono comunque ordini da un superiore. Decidi che è il giorno buono per accendere per la prima volta la cucina a legna. Posizioni la moka. Sei affezionata a quel calore lento, al lampeggiare delle braci. Ti piace osservare la carta mentre arde.

È un documento di identità, plasticato. Lo sai che è falso, ma non conta. Le facce di certe bestie ti si incollano alla memoria. Mentre il caffè gorgoglia raccogli la poca cenere e la getti nel lavandino. Fai scorrere l’acqua.

Era una prova eliminabile. L’ultima.—


 

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