Governo Conte 2, così Cacciari bacchetta il premier: «Un Umanesimo da Bignami»

Il filosofo sarà al festival proprio per parlare di quel periodo storico «Altro che era di sicurezza, pace e armonia, come banalmente si pensa»

L’Umanesimo, termine nobilitante che ricorre frequentemente nella fraseologia politica e culturale, sarà al centro di un dialogo nell’ambito di Pordenonelegge, ventesima edizione. Giovedì 19 settembre alle 18.30, al teatro Verdi, introdotti da Gian Mario Villalta, dialogheranno sul tema “L’anticipazione del nostro destino: Machiavelli e l’Umanesimo”, Alberto Asor Rosa e Massimo Cacciari autore del recente saggio Einaudi “La mente inquieta”, nel quale si traccia del periodo un quadro opposto a quello sereno e idilliaco che generalmente lo definisce.

Anche Giuseppe Conte, affermando la necessità di riproporlo, è caduto nel consueto errore, dice il filosofo veneziano in questa intervista al Messaggero Veneto. L’Umanesimo è stato un periodo di crisi, di confronti e scontri accesi, di ricerca affannata capace di mettere tutto in discussione. Dunque, un passaggio non molto dissimile da quello che stiamo vivendo.


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Cacciari, per parafrasare il Timoniere, l’Umanesimo non è stato una cena di gala.

«No, affatto. È stato la rappresentazione, nei suoi diversi aspetti, di un periodo di profonda crisi culturale, religiosa, politica, e le sue grandi figure incarnano questo clima. Restituiscono un quadro totalmente diverso da quell’Umanesimo di cui si ciancia, che sembra essere la ricerca della sicurezza, della pace, della via per risolvere tutte le situazioni conflittuali».

C’erano molte correnti, in quel periodo…

«Certo, e profondamente diverse tra loro. Ma non ne derivava nulla di conciliante. Anche quelle considerate più consone all’immagine armoniosa dell’Umanismo – pensiamo all’Oratio de hominis dignitate di Pico della Mirandola – a leggerle come si deve danno dell’uomo un’immagine drammatica e tutt’altro che pacificante».

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Però al centro di tutto c’era la persona, diversamente dall’oggi. O no?

«Ma c’erano anche visioni umanistiche per cui l’uomo era al centro di niente, un viaggiatore incerto e indefinibile, risolto da una sola categoria, quella del possibile. L’Umanesimo è il momento originario della civiltà moderna che rifiuta ogni auctoritas precostituita e vuole mettere in discussione tutto. Per far valere il tuo pensiero non puoi citare altri, devi essere tu a definire un’evidenza secondo un piano perfettamente razionale».

La visione di Cacciari dà grande importanza al linguaggio, quale precondizione allo sviluppo del pensiero filosofico. Quel linguaggio che oggi si sta impoverendo.

«La lotta per formare una lingua “illustre”, per dirla con Dante, continua da sempre. È un continuo sforzo per dargli consistenza e coerenza. La lingua pensa, dicono gli umanisti, perché non possiamo pensare che in forma linguistica, e quindi ogni sfaldamento del linguaggio porta a uno sfaldamento del pensiero. Si tratta di un punto importantissimo anche per l’oggi: filologia è amore per il logos, che è traducibile con “discorso”, ma anche “ragione”, “calcolo”».

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Ma lo svilimento c’è, oggi, a quanto sembrerebbe.

«La questione non è da porre in termini banalmente storico-contingenti, è un destino che ci accompagna, nel trasformarsi continuo del linguaggio. Ed è un problema di tutti i tempi il tentare di resistere alla tendenza inesorabile a banalizzarlo e impoverirlo. Il poeta esiste per contrastare questa tendenza distruttrice».

La necessità di un ritorno all’Umanesimo è stata appena citata da Giuseppe Conte…

«Nel consueto modo distorto e radicalmente scolastico. Umanesimo come ingresso in un’epoca di sicurezza, pace e armonia. La solite banalità che circolano, specie nelle teste di chi ha letto solo il Bignami».


 

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