Addio all’avvocato che arringò per 16 ore contro i responsabili del disastro del Vajont

«Grazie per esserci stato accanto come pochi altri in un momento così duro, quando ero fin troppo facile chiudere la bocca ai deboli come noi».
Con queste parole l’associazione dei superstiti del disastro del Vajont “Cittadini per la memoria” ha salutato Sandro Canestrini: l’avvocato si è spento ieri mattina nella sua Rovereto all’età di 96 anni.
Compagno di università di Norberto Bobbio, partigiano antifascista e più volte eletto nelle file del Pci - Nuova sinistra, Canestrini resterà noto per aver assistito i Comuni e i sopravvissuti del Vajont al processo de L’Aquila.
La sua arringa del 23 settembre 1969 durò 16 ore e venne trascritta in un libro che lui stesso volle intitolare “Un genocidio di poveri”. Il giudice istruttore non lo interruppe o lo richiamò mai all’ordine, neppure quando definì quello in corso “un processo politico che si fonda sulla mera colpa quando è evidente che i responsabili della tragedia sono dei delinquenti sadici venduti ad interessi disumani”.
Del resto la stessa scelta del luogo dove celebrare le udienze aveva suscitato polemiche a livello internazionale: per timore di sollevazioni popolari, la sede giudiziaria di Belluno venne sostituita con quella del capoluogo abruzzese, cioè la più disagiata e difficilmente raggiungibile dell’epoca. “Gli imputati entravano in città in Ferrari dopo aver pernottato al Grand hotel mentre i superstiti che avevano risparmiato quattro lire per il viaggio arrivavano a L’Aquila dopo tre giorni di treno e pullman, mangiando un panino sugli scalini di palazzo di Giustizia”, aveva rievocato il legale nel 2005 durante la cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria di Erto e Casso (i due paesi che all’epoca della tragedia facevano parte della provincia di Udine poichè quella di Pordenone era ancora lungi dal divenire).
La sua requisitoria fece breccia nel collegio giudicante ottenendo qualche limitata condanna ma il clima del Bel Paese in quegli anni era tutto incentrato alla rinascita, al boom economico, al benessere.
“Il Vajont fu il frutto di un triangolo di ferro tra politica, burocrazia e imprese - si legge nel suo libro e pubblicato anni fa proprio dal Comune di Erto e Casso -. Ho accettato l’incarico perché sui morti non cada la pietà al posto della verità. La sciagura fu provocata dall’inaudita prepotenza dello Stato e dall’inconcepibile violenza delle imprese private. Ma anche quasi tutte le forze politiche vi si allinearono, diventandone compartecipi”. Canestrini venne scelto come difensore delle vittime su sollecito di Tina Merlin e Guglielmo Corneviera. La prima era la giornalista bellunese de L’Unità che per prima aveva denunciato i rischi legati alla costruzione della diga, il secondo è stato sin dalla notte del 9 ottobre 1963 l’anima del comitato dei superstiti e promotore di decine di iniziative della memoria. Per questo ieri da Erto e Casso e Longarone sono stati decine i messaggi di cordoglio nei confronti della famiglia dell’avvocato e, in particolar modo, del figlio Nicola che ha seguito le orme professionali del padre. Oltre al processo Vajont, Canestrini si occupò di altri casi giudiziari delicati e pieni di significati storici: da quello “gemello” di Stava all’inchiesta contro la mafia di Palermo passando per gli eccidi nazisti di Bolzano e gli attacchi terroristici dei separatisti altoatesini. —
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