Le dieci grandi parole: Pierluigi Di Piazza racconta i comandamenti

Il prete attivista friulano invita a ripensare il mondo: domenica 11 maggio la presentazione nella chiesa di San Francesco

Andrea Bellavite
La copertina del libro e Pierluigi Di Piazza
La copertina del libro e Pierluigi Di Piazza

Domenica 11 maggio, alla chiesa di San Francesco, alle 14.15, sarà presentato il nuovo libro di Pierluigi Di Piazza “Le dieci grandi parole, indicazioni per la vita (Alba edizioni). Relatori Cristina Simonelli, figura di spicco del mondo femminile ecclesiale italiano ed internazionale, e Vito Di Piazza, medico, fratello di Pierluigi ; modererà l’incontro Paolo Mosanghini, vicedirettore del Messaggero Veneto.

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Il concetto di “comandamento” è quanto di più lontano possa immaginare chiunque abbia conosciuto don Pierluigi Di Piazza. Eppure il libro che viene presentato in questi giorni è proprio dedicato ai tradizionali “dieci comandamenti”. Sì, sulle prime è proprio sorprendente che da uno spirito così libero e aperto all’incontro simpatetico con ogni “altro” derivino prima alcune conferenze, poi questo bellissimo testo il cui oggetto è proprio il più celebre fondamento dei sistemi etici e giuridici del mondo cosiddetto occidentale.

Approfondendo il pensiero di Pierluigi ci si accorge fin dal titolo che la sua impostazione è molto distante da quella che molti di coloro che oggi hanno i capelli bianchi, hanno imparato a memoria durante le lezioni del catechismo preconciliare di Pio X. Non li chiama infatti “comandamenti”, ma “dieci grandi parole”, testimonianza affascinante di un particolare rapporto che, prima di riferirsi alla dimensione irraggiungibile della volontà divina, coinvolge l’essenza della relazione tra gli esseri umani. Il riferimento allo strumento principe della comunicazione interpersonale porta il fondatore del Centro Balducci di Zugliano a raccontare a suo modo la storia dell’Esodo. Procedendo dal misterioso evento del Sinai, sembra di ascoltare la voce e di osservare con timore e tremore il dito di Dio, mentre incide il Decalogo prima nel cuore e nella mente di Mosè, poi sulle tavole di pietra che egli deve consegnare al popolo di Israele. La finalità non è quella di imporre una legge finalizzata a moltiplicare gli impedimenti alla felicità dell’uomo, ma a proporre una nuova concezione della Vita e della Comunità.

Il fondamento della nuova esistenza alla luce di parole che trascendono l’ordinaria dimensione dell’umano, è la consapevolezza del raggiungimento della Libertà. Il popolo sperimenta una nuova condizione, diversa dalla tremenda schiavitù nell’Egitto dei Faraoni e comprende come il nuovo criterio di azione non sia più l’obbedienza a un qualsiasi “fuhrer”, fosse anche sedicente emanazione del divino, ma la sacralità della propria responsabilità nei confronti della Natura, degli altri e di sé stessi.

Da una parte si sottolinea l’assoluta alterità di Dio, là dove le osservazioni riguardanti l’adorazione e la santificazione accompagnano l’invito a non nominarne neppure il nome. L’affermazione del “totalmente altro” dovrebbe evitare la tentazione di portare l’assoluto nella contingenza, il tutto nel frammento. In questo modo, se presa sul serio, dovrebbe cancellare la tentazione di ogni potere imperialista, anche e soprattutto se la pretesa di qualcuno di sottomettere qualcun altro fosse giustificata “in nomine Dei”. L’uso strumentale della religione è la vera bestemmia contro Dio e contro i propri simili.

Dall’altra parte si evidenzia la necessità di vivere e costruire una comunità di persone leali e disponibili al rispetto reciproco e alla valorizzazione di ciascuno. Ciò vale per la tradizionale affermazione della necessità di onorare i propri familiari, come di quella relativa alla dimensione dell’affettività. Ma è significativo anche il riferimento sociale, con la proibizione potente dell’assassinio della propria sorella e del proprio fratello, la ridefinizione dei rapporti di proprietà e la necessità di una vera e propria giustizia sociale. Riecheggiano ovviamente in questo orizzonte le tematiche più care, relative alla pace e al disarmo, all’accoglienza illimitata di coloro che fuggono da fame, guerre e persecuzioni, alla solidarietà come essenza del pensare e dell’agire politico.

Travalicando spazi, tempi e contesti, quelle dieci parole, riconosciute in contesti radicalmente diversi, sono ancora molto attuali anche oggi, ridefinendo un nuovo modo di concepirsi “liberi”, in un mondo dominato dai nuovi idoli del capitalismo e del liberismo. Anche se una simile osservazione avrebbe suscitato il suo sorriso simpatico e un po’ ironico, il Di Piazza riveste il ruolo di un nuovo Mosè, la cui vocazione è quella di parlare al popolo, come un autorevole profeta. Eccolo allora riprendere, punto per punto, le dieci “parole”. A esse corrisponde l’assunzione di un’umana e profonda responsabilità, non l’obbligo di quell’obbedienza che nella tradizionale accezione, è stata definita da don Milani, “non più virtù, ma la più subdola delle tentazioni”. E soprattutto, Pierluigi attualizza.

Pierluigi Di Piazza, con semplicità e profondità, al termine della lettura, ci permette di comprendere con maggiore verità le indimenticabili parole di Gesù. Alla fine, tutti i comandamenti, tutta la legge e tutti i profeti sono sintetizzati in un’unica “nuova” legge, quella dell’Amore: “ama Dio con tutto il tuo cuore, ama il prossimo come te stesso”.

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