La Cantada in memoria del Cid: scatti di libertà per il futuro
Vicino/lontano 2025 presenta anche “Cantata per il Cid”, volumetto in uscita per Forum editrice di Danilo De Marco e Angelo Floramo, che intreccia i ricordi e le domande di Danilo De Marco con le riflessioni del partigiano Cid, raccolte con meticolosità da Angelo Floramo a partire dai suoi diari e dai suoi quaderni di appunti

Nella giornata finale, vicino/lontano 2025 presenta anche “Cantata per il Cid”, volumetto in uscita per Forum editrice di Danilo De Marco e Angelo Floramo, che intreccia i ricordi e le domande di Danilo De Marco con le riflessioni del partigiano Cid, raccolte con meticolosità da Angelo Floramo a partire dai suoi diari e dai suoi quaderni di appunti.
La sua vita, il suo impegno, le sue riflessioni arrivano in forma di evento scenico a vicino/lontano oggi in prima assoluta alle 17.30, nella Chiesa di San Francesco, in “Cantata per il Cid. Scatti di libertà per i giorni che verranno” con Danilo De Marco, Angelo Floramo e Massimo Somaglino - che firma anche la regia dello spettacolo - insieme a Paolo Forte alla fisarmonica e al coro composto da Nicoletta Taricani, Miriam Foresti, Caterina De Biaggio, Eleonora Lana. Ecco per gentile concessione dell’editore, una parte dell’introduzione.
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Una favola d’altri tempi, di quelle che si raccontano ai bambini i quali si ostinano a credere ancora che ci siano per davvero, da qualche parte, gli orchi, i draghi e i cavalieri senza macchia e senza paura. E ci sono, statene pur certi. Purtroppo non abbiamo più gli occhi giusti per riconoscerli, quando li incontriamo. Ci ingannano per questo. Tanto che alle volte li votiamo, perfino. O diventiamo come loro.
L’esistenza che ne esce, in filigrana, è quella di un partigiano. Sì, perché partigiano lo è stato tutta la vita, anche prima di diventarlo per davvero, continuando a esserlo anche a guerra finita. Partigiano. Fino alla fine del suo tempo. Sto parlando del Cid. Cid per brevità, perché il nome di battaglia, tutto intero, sarebbe stato molto più lungo: “El Cid Campeador”, l’eroe medievale de Las Navas de Tolosa. Al secolo il Cid era Sergio Cocetta, classe 1925, di Bicinicco.
Quest’anno, in cui si celebrano gli Ottant’anni della Liberazione dal nazifascismo, lui ne avrebbe compiuti cento. E al di là delle ricorrenze, gli anniversari, abbracciati insieme, la dicono lunga: dal momento che – fatti due conti – nel 1945 Sergio era una ragazzo di vent’anni. Nato nell’anno in cui vennero varate le leggi fascistissime. Cresciuto dentro una società ammorbata dalla feroce retorica del regime.
Eppure capa¬ce di maturare, dentro di sé, quelle scelte coraggiose che non tutti seppero o vollero fare. Chi per codardia, chi per interesse o peggio per disattenzione. Solo i migliori ebbe¬ro la forza di dire di no. Coloro ai quali dobbiamo lo spirito della nostra carta costituzionale. In molti, fra loro, avevano meno di vent’anni. Seppero guardare “oltre il ponte”, come canta il poeta.
Il suo nome, quello di Cid, rimbalza sempre, immancabilmente, a ogni incontro che capita di fare con Danilo, diventato – quasi per una missione sacrale o per un desti¬no fortunato – unico custode vivente di una così grande memoria. Tanto che la sua incarnazione perfetta è tutta dentro uno degli scatti più intensi che il nostro ha cattu¬rato al tempo degli umani.
Non solo una fotografia, ma, come ebbe a dire Erri De Luca, «la mappa del 1900»: nelle fattezze di un volto, nelle rughe che ne innervano la faccia, dentro al lampo chiarissimo di due occhi che guardano senza mai mollare l’obbiettivo, come a chiedere conto e ragione del nostro andare distratto e disimpegna¬to. Il resto lo fa la curva sbilenca del naso, la smorfia socratica delle labbra, l’ombreggiatura di un cappello sdrucito, immancabile, da ‘bandolero’ triste, o da filosofo delle periferie, quelle dimenticate da un mondo troppo preso dalle sue vacuità per accorgersi del Vero, e del Giusto, e del Buono.
Il luogo migliore per evocarlo, il Cid, resta sempre l’osteria. Che sia una tana partigiana, però. Dove il vino è sincero, l’oste burbero, dove si possa sorseggiare il calice guardando la porta d’ingresso, perché, come diceva il Cid: «bisogna sempre essere pronti».
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