Misuraca racconta il “suo” Pordenone: «Senza il Covid saremmo andati in serie A»
I ricordi del centrocampista siciliano che in Friuli ha visto nascere i suoi figli: «Il rischio fallimento? Mi dispiace per il presidente e per la città»

PORDENONE. In nove stagioni tra i professionisti il Pordenone ha avuto fior di giocatori, alcuni dei quali sono ora protagonisti in serie A e in azzurro. Pochi sono stati riconosciuti come simboli da parte della piazza.
Uno di questi è sicuramente Gianvito Misuraca. I tifosi sono legati a lui e, in particolare, lui stesso rimarrà per sempre legato ai colori neroverdi, con i quali ha ritrovato nel 2019, dopo sei anni, la serie B. Il centrocampista palermitano, classe 1990, tra aneddoti e curiosità, ripercorre la sua storia in Friuli, iniziata nell’estate del 2016 e conclusasi nel gennaio 2022.
Pur essendo legato ai ramarri da un contratto valido sino al 2024, il giocatore è passato in prestito prima al Bari e, la scorsa stagione, alla Fermana in serie C.
Si ricorda il primo contatto con il Pordenone?
«Sì, ero a casa a Palermo, in vacanza. Arrivavo da una buona stagione in Lega Pro a Bassano. Mi chiamò mister Bruno Tedino. All’inizio non ero convinto, ma al contempo sapevo che si trattava di un club nuovo a questo livello e che aveva ambizioni. Quando arrivai al De Marchi e parlai con il presidente Lovisa capii di aver fatto la scelta giusta».
Cosa le disse Lovisa?
«Che aveva intenzione di arrivare in alto e di voler intraprendere un bel percorso».
Non è un caso se, durante la sua prima stagione, nel 2016-2017, sfioraste subito la promozione in serie B...
«Avevamo una squadra forte, certamente quella con cui più mi sono divertito a giocare nella mia carriera. Eravamo organizzati e pensavamo allo spettacolo. Ricordo i tanti match vinti con 4 gol di scarto, per non parlare ovviamente dei successi per 6-0 col Bassano e per 7-2 col Lumezzane».
Quel Pordenone era una macchina da gol, le cui bocche da fuoco erano Berrettoni e Arma. Il centrocampo formato da lei, Burrai e Suciu ha forse rappresentato il reparto di mezzo più forte dell’epoca Lovisa...
«Penso che ci completassimo perfettamente con le nostre caratteristiche. Si era creato un giusto mix. Inoltre andavamo molto d’accordo fuori dal campo. E questo ha una sua grande importanza».
Peccato per l’epilogo nei play-off col Parma. Cosa le viene immediatamente in mente invece della stagione successiva?
«Le gare col Cagliari in Sardegna e con l’Inter a San Siro. A proposito, ricordo che mentre stavo entrando in campo al Meazza incrociai il presidente Lovisa, che stava lasciando il terreno di gioco. Mi disse: “Dobbiamo abituarci a questi palcoscenici”. Aveva ragione. Giocammo una grande partita. E più passavano i minuti, più eravamo convinti di poter centrare l’impresa (poi i ramarri persero ai rigori, ndr). Quei due incontri ci fecero crescere dal punto di vista della visibilità. E rappresentarono passaggi importanti lungo la strada del successo».
Nel 2018-2019 il Pordenone raccolse poco in campionato, ma il torneo successivo passò alla cassa...
«Arrivò mister Tesser: portò la sua esperienza e credette in noi. Decise di puntare sul gruppo storico. Ciò che poi successe fu indimenticabile. La gioia personale per la conquista della promozione in serie B fu accompagnata dalla consapevolezza che si trattava di un completamento di un percorso, iniziato pochi anni prima».
Lei stesso ritrovò una categoria lasciata nel 2013 a Vicenza...
«Dopo giocai a Nova Gorica in serie A slovena, vinsi la coppa nazionale, andai a Pisa in prestito in C, ma dopo il fallimento del Parma nel 2015 (il centrocampista era di proprietà dei ducali, ndr) uscii un po’ dal giro. Il campionato successivo dimostrai che ero nuovamente competitivo anche a quel livello, che in B ci potevo stare».
A distanza di tempo, pensa che potevate davvero centrare la promozione in serie A?
«Credo che lo stop legato al Covid ci penalizzò. La stagione si fermò dopo una settimana in cui riuscimmo a centrare tre vittorie di fila. Fu un’annata strana, alla ripresa cambiammo anche stadio. Dopo la semifinale play-off vinta a Frosinone per 1-0 eravamo convinti di farcela. Poi andò come tutti sanno. Rimase però un’annata fantastica».
Nel torneo successivo c’è un’immagine particolare: il gol, il suo ultimo in neroverde, segnato alla Salernitana a tre partite dal termine a Lignano. Valse il momentaneo 1-0, poi i campani vinsero 2-1.
«In quella conclusione c’era tutta la rabbia che avevo, perché non potevamo retrocedere. E non volevo assolutamente quell’epilogo. Fu una stagione complicata, sia dal punto di vista personale, perché nella prima parte saltai molte partite per un infortunio, ma fu anche difficile sotto il profilo collettivo, perché coincise con l’esonero di Tesser. Arrivò mister Domizzi, che ci diede la carica giusta per affrontare il finale di stagione e successivamente mantenere la categoria, traguardo che tagliammo con il successo sul Cosenza a Lignano».
L’epilogo della B nell’aprile del 2023, quando lei era già a Bari...
«Mi è dispiaciuto molto per i ragazzi, per chi ha vissuto quel torneo».
Soffre nel vedere il Pordenone lottare per evitare il fallimento?
«Certo. Mi dispiace tantissimo per il presidente, perché so quanto ha messo del suo in questo percorso. Inoltre Pordenone rappresenta per me il club con cui sono tornato in serie B e in cui ho militato più a lungo; Pordenone è la città dove sono cresciuti i miei figli e in cui ho coltivato grandi amicizie, non solo in campo ma anche fuori dal terreno di gioco». —
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