Dal Cin: «La mia Udinese, Zico e quel calcio del futuro»

Parla l’ex dirigente bianconero. «Pozzo? Un grande, ma lo stadio resti Friuli»
Udine 10 Settembre 2015 dal cin al mv © Petrussi Foto Press Massimo Turco
Udine 10 Settembre 2015 dal cin al mv © Petrussi Foto Press Massimo Turco

UDINE. Il fuoriclasse. È quello che prima degli altri capisce dove va il pallone, prima degli altri capisce dove si butta il portiere. Il fuoriclasse in genere sbaglia poco, ma quando sbaglia è uno sconquasso e magari pure lo ammette.

Nel calcio, nello sport, nella vita. Ora il calcio è (e sarà sempre più) acquisti milionari di calciatori, paradisi fiscali, stadi di proprietà “griffati” e con palchi privati, sponsor sulle magliette, diritti tv pagati una follia.

Franco dal Cin 72 anni da Conegliano Veneto, dal 1976 al 1984 semplicemente l’Udinese, il calcio di adesso lo faceva così trent’anni fa.

Errori?

«Tanti – dice – il più grande è quello di essere andato via dell’Udinese nel 1984. E se non mi avesse fregato Moggi ora sarei, chissà, il presidente della Lega calcio». Ah, perché Dal Cin, il fuoriclasse, è pure quello che per primo, quando aveva in mano il Venezia in serie B nel 2004 denunciò il malaffare di Moggi&c avviando di fatto Calciopoli.

Dal Cin come iniziò tutto?

«Io e Sanson avevamo il Conegliano. Volevamo un progetto da serie A, scegliemmo l’Udinese di Brunello. I friulani dicevano: cosa faranno quei due veneti...invece».

C’era uno stadio nuovo...

«Sì, che la gente voleva riempire. Il Friuli era devastato dal sisma, quel luogo non era soltanto la casa del calcio era la casa dei friulani...più la squadra vinceva e più la gente veniva al Friuli: 20 mila, 30 mila».

Il nome è quindi azzeccato...

«Sì, è lo stadio dei friulani. Anche se io lo chiamerei stadio Angelo Candolini perché il sindaco fu determinante per la nascita e la crescita di quella struttura».

Ci racconti un aneddoto...

«Durante le partite della serie C1 giravo in motorino per vedere dove la viabilità andava migliorata e il giorno dopo Candolini mandava le ruspe a sistemare tutto...Rimproverano Honsell adesso? Candolini era così: faceva fare i lavori poi arrivavano le autorizzazioni».

Giampaolo Pozzo vuole dare il nome di uno sponsor allo stadio...

«È un grande imprenditore, ha fatto grande l’Udinese ma non è mai stato un comunicatore. La sua società ha un conto economico imbarazzante, incassa milioni e milioni, dice di essere il presidente della squadra dei friulani e in quanto rappresentante dei friulani sbaglia a “vendere” lo stadio per 400 mila euro o giù di lì. L’hanno capito anche in Regione con quella mozione all’unanimità. E lo dice uno che a Reggio Emilia vent’anni fa ha fatto costruire il primo stadio di proprietà di una squadra di calcio in 9 mesi...».

Torniamo a quegli anni. Sanson che presidente era?

«Un signore, di cuore, uno ambizioso, nel ciclismo con Moser aveva vinto ovunque. Poi c’era Lino Midolini, l’”equilibratore”».

V’inventaste la sponsorizzazione sui pantaloncini...

«Nel 1978, il regolamento vietava gli sponsor sulle maglie. La scritta comparve sui pantaloncini. Beccammo 20 milioni di multa ma aprimmo una breccia decisiva...Del resto ci ero abituato, nel 1965 da segretario del Vittorio Veneto feci mettere una foto di un gatto nero nel manifesto che invitava alla partita: stupore, polemiche, ma lo stadio era pieno la domenica».

Dal Cin, da Sanson si passò a Mazza...

«C’è sempre di mezzo Candolini: una sera andammo dal Cavaliere nella sua villa a Pordenone e lo convincemmo a comprare l’Udinese. Mazza voleva mettermi in prova per 4 mesi, io gli dissi che piuttosto mi avrebbe fatto un contratto a giornata. E così ci regolammo nei cinque anni successivi».

La gioia più bella?

«Una in particolare: il gol di Gerolin al Napoli che ci portò alla salvezza».

Era il 24 maggio 1981...

«La partita stava finendo, guardavo quei 40 mila appollaiati sulle tribune e pensavo: non possiamo retrocedere. Abbassai lo sguardo e vidi Manuel segnare. Invasi il campo, non l’ho mai più fatto. Ma quell’anno iniziò con un capolavoro (sorriso furbo...ndr)

Quale?

«Con le pubbliche relazioni fatte bene riuscimmo a far mandare in B il Milan e la Lazio implicati nelle scommesse e fummo ripescati».

Poi iniziò il miracolo...

«La squadra dell’82-’83 era meravigliosa: Surjak, Edinho, Causio e gli altri. Avevamo dietro un colosso da 30 aziende e 30 mila posti di lavoro come la Zanussi. Io avevo carta bianca da Mazza, che faceva le riunioni in azienda a seconda dei miei orari...che anni».

Il Friuli?

«Riempiva lo stadio. Fino a 50 mila persone arrivarono alle partite, ben oltre la capienza, arrivammo pure ad avvicinare le poltroncine per creare più posti...».

Ci fu l’azionariato popolare.

«Avevamo coinvolto i tifosi già dai tempi di Sanson con il 10% di azionariato popolare, che salì ai 26 mila ai tempi di Zico, volevamo creare un club di soci come i grandi club stranieri».

Dal Cin... Zico... Lei comprò Zico all’Udinese, è come se adesso Gino Pozzo comprasse Messi...

«Sì, e io a Gino Pozzo, grande conoscitore del calcio, basta vedere cosa sta facendo col Watford, proprio Messi consiglierei perchè è un fuoriclasse assoluto che può vincere le partite da solo».

Ci racconti quell’affare...

«Lamberto Giuliodori dal Brasile ci aveva già portato Edinho, mi continuava a parlare di Zico, che il Flamengo voleva venderlo...Finché andai a trattare Zico col procuratore».

Quale fu la chiave di tutto?

«Lo sfruttamento dei diritti d’immagine del calciatore... ora è normale... allora no. Creammo una società apposta, la Groupings. Il miliardo di lire che davamo a Zico d’ingaggio lo pagavamo con gli sponsor: 300 milioni dalla Zeta Color, 200 da altri sponsor, 500 da esclusive che avevo venduto alle tv di Berlusconi».

E il Flamengo?

«Cruzeiros, in due valigette, arrivati dai conti esteri di Mazza, con il cambio dollaro-moneta brasiliana fatto in nero per risparmaire. Ero al cambio di “vedetta” quella notte...Poi i soldi sono arrivati dall’Uruguay in Brasile. Il presidente del Flamengo aveva detto a Zico che tanto gli italiani i soldi per portarlo via non li avrebbero portati...invece...Portammo i 4 milioni di dollari per comprarlo...che poi erano 2,4 grazie al cambio in nero».

Non vollero farvelo tesserare però...

«Si mise in mezzo Lama, il segretario Cgil: la Zanussi mette in cassa integrazione b4.500 persone e poi spende miliardi per un calciatore diceva. Apriti cielo. Per fortuna che ad Andreotti, il potere, interessava far arrivare Cerezo alla Roma, quello sì che era tesserato irregolarmente... Altro che “Zico o Austria” dei friulani, il Galinho venne a Udine per...Andreotti».

Lo sente ancora Zico?

«No».

Perché?

«Fino al 1989 mi sono vergognato: lo avevo fatto scappar dall’Italia portato via dai carabinieri per le questioni fiscali scoppiate nel 1985».

Poi?

«Grazie a Manlio Cescutti, che era amico del presidente della Fifa Havelange, organizzai il suo addio al calcio al Friuli con la nazionale brasiliana e i migliori giocatori del mondo. Diedi 500 milioni a Zico... mi sdebitai».

Un ricordo di quell’anno magico...

«Uno: a Marassi i tifosi del Genoa a 10’ dalla fine invocarono il gol di Zico su punizione che arrivò puntuale...mai visto niente di simile».

Finì tutto troppo presto...

«La politica, la gente che contava erano ostili a Mazza...finì tutto. Altro che “stadio dell’elettronica” che stava nascendo intorno al maxi Cosmo. Il presidente fu “liquidato” dalla Zanussi con l’Udinese, io capii tutto prima e firmai per l’Inter prima della fine del campionato ’83-’84. Peccato...avevo già pensato a rinforzare la squadra: avevo in mano il brasiliano Junior e avremmo preso un forte difensore centrale italiano al posto di Edinho. Trattavo Bruno Giordano e un certo Roberto Mancini. Ogni volta che incontro me lo ricorda».

Per lei l’apoteosi...all’Inter...

«Invece fu una cavolata. Capii presto che a Udine avevo fatto il dirigente con i soldi degli altri, ma avevo avuto carta bianca da due grandi presidenti. A Milano, quando proposi Zico all’Inter, Pellegrini mi rispose che avevano già Lyam Brady. Metteva lui i soldi e comandava...Capii che era finita».

Nel 1986 arrivò Pozzo all’Udinese...

«Grazie a me, ma è risaputo. Meno come: il barbiere a Udine mi riferì che una signora gli aveva detto che suo marito era interessato a entrare nel mondo del calcio. Era la signora Pozzo. Gianpaolo era un grande imprenditore, con un grande patrimonio, il jet privato...ma nessuno lo conosceva. Entrò in società...poi vennero fuori le voragini nei bilanci dell’Udinese di Mazza, non tanto per i debiti, ma per i crediti inesistenti. I friulani devono ringraziare Pozzo, ha fatto grandi cose con l’Udinese, vendendo giocatori a peso d’oro e ottenendo risultati straordinari».

Vi sentite mai...

«No, tempo fa sono andato a testimoniare a Milano per l’infinita a causa con Mazza».

L’ha visto lo stadio nuovo?

«No, non mi hanno invitato».

Come ha comprato la Reggiana vent’anni fa?

«Con i soldi guadagnati nella vendita dei diritti tv, il mio socio Fantinel di soldi ne mise pochi. Fui io a vendere alla Fininvest la gara di Coppa campioni tra Stella Rossa Belgrado e Milan nel 1989...il mio amico Galliani non ci credeva, ma...La rivendettero quella partita alla Rai a peso d’oro barattandola con sei Gp di Formula Uno».

Dopo la Reggiana il Venezia: era consigliere di Lega per i piccoli club, potente. Poi si è beccato una squalifica per illecito di 5 anni finita nel 2010...

«La giustizia ordinaria ha dimostrato che non c’entravo nulla. Ma quella sportiva era pilotata da Moggi. Si vendicò perché avevo scoperto il malaffare di Calciopoli. È noto che, senza le mie denunce, le intercettazioni per scoprire il sistema non sarebbero state autorizzate. Anche se la mente di tutto era Giraudo, che infatti abilmente ha patteggiato uscendo di scena, non Moggi, bravo a nascondere le provette delle urine di Maradona e a procurare le donne agli arbitri...e poco più».

Tre allenatori: Giacomini, Ferrari, Ancelotti che lei ”scopri” alla Reggiana.

«Massimo? Buon allenatore in una grande società, Enzo il mister di famiglia, lo portammo dal Veneto con noi; Carletto grande uomo e un grande professionista. Siamo amici, ci vediamo spesso».

Dal Cin, ha 72 anni...cosa non rifarebbe?

«Una cosa certamente: andare via dall’Udinese nel 1984».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto