Da senzatetto a superstar Butler batte Mj e la sua storia commuove il mondo Nba

Wilt Chamberlain, Michael Jordan, Kobe Bryant e...Jimmy Butler. No, non si tratta di una versione cestistica del giochino “trova l’intruso” anche se nel sopracitato quartetto salta subito all’occhio la presenza “anomala”: accanto a tre dei più grandi campioni di sempre ecco spuntare il 26enne da Marquette, entrato nell’Nba dalla porta di servizio come 30esimo uomo scelto al draft 2011. In uscita dal liceo nessuna delle decine di università di prima fascia dell’Ncaa lo aveva minimamente considerato e Jimmy era finito in un junior college. L’anno dopo a dargli una chance nel basket universitario che conta era stata Marquette. Da universitario (il secondo anno concluso ad appena 5 punti di media) aveva giocato spesso vicino a canestro, sfruttando energia e atletismo ma la statura (al di sotto dei due metri) e i limitati istinti perimetrali sembrava precludergli qualunque chance di incidere a livello Nba come attaccante, a meno di non sviluppare un tiro davvero affidabile. Un giocatore bravino in tutto ma che non eccelleva in nulla, in grado secondo gli scout di diventare al massimo uno specialista difensivo. Oggi Butler è un all star da 22 punti e 5 rimbalzi a partita e questa settimana è stato protagonista di una performance che ha dell’incredibile pensando a quelle scarse aspettative. Jimmy, mettendo in mostra tutti i suoi straordinari miglioramenti nel tiro e nella capacità di creare dal palleggio frutto di un lavoro instancabile e mirato in allenamento, ha battuto il record di franchigia di Jordan segnando 40 punti nel secondo tempo della gara vinta dai Bulls 115-113 a Toronto (highlights nella sezione video-sport del sito del Messaggero Veneto). Dopo i 2 soli punti nei primi due quarti, Butler è esploso nel terzo e nel quarto, facendo così meglio di Jordan che si era fermato a 39 contro i Bucks nel febbraio 1988. Una prestazione che per una notte lo ha fatto accostare a grandi del passato capaci di esplosioni realizzative irreali: i 55 punti nel secondo tempo di Kobe il 22 gennaio 2006 contro i Raptors o i 59 di Chamberlain contro i Knicks nella leggendaria notte da 100 punti del 2 marzo 1962. Accostamenti con autentici miti che stridono ulteriormente con gli umili inizi di Butler e la sua commovente storia personale. É nato in una delle aree suburbane più malfamate di Houston, il padre non l’ha praticamente mai conosciuto e dopo un’infanzia in un contesto di degrado e delinquenza, si è ritrovato a vivere da “homeless” all’età di 13 anni. La madre non era più in grado di occuparsi di lui e gli aveva detto senza mezzi termini di andarsene. Il suo destino sembrava segnato: quello di un vagabondo, molto probabilmente di un criminale. Per mesi ha vagato senza un dollaro per Houston, dormendo sotto i ponti o nelle strutture per senzatetto. La sua vita cambiò quando venne di fatto adottato dalla famiglia di un amico, Jordan Leslie, conosciuto al campetto: «Mi accolsero e non perchè fossi bravo a giocare a basket» ricorda sempre l’attuale stella dei Bulls. La sua è la storia di un sopravvissuto, di quelle che fanno impazzire gli americani. Non a caso, ora il ragazzino rimasto sulla strada è diventato un idolo. Sulla sua strada rischia di trovarsi anche quest’anno Lebron James. Che non gli fa paura.
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