Wunderkammer soap e Ricci/Forte giocano sui nostri sensi di colpa

UDINE. Tornano a Udine Stefano Ricci e Gianni Forte, amatissimi dioscuri di un teatro tutto da pensare e godere, che mette in discussione la propensione, oggi ahimè piuttosto diffusa, a un teatro meramente intrattenitivo.
E tornano con una loro “Wunderkammer Soap”, uno di quegli intriganti accadimenti teatrali in cui i pochi spettatori ammessi sono inchiodati davanti a dei perfomer e costretti a fare i conti con loro e con se stessi in una dimensione non “comoda” di spettatore voyer che non ti lascia indifferente, ti chiede una forma inconsueta non convenzionale di partecipazione. In una visione del teatro che, afferma Stefano Ricci, «cerca di trasfigurare la comunicazione e di ribaltare il rapporto platea palcoscenico per una fruizione spettacolare emotivamente e criticamente attiva. Perché il teatro, come la vita, non è osservare, ma agire».
Questo “Wunderkammer Soap # 4_ Edoardo II”, in scena al Palamostre da oggi a sabato con quattro repliche a sera a partire dalle 19.30, nasce da alcune suggestioni derivanti da Christopher Marlowe, l’altro grande inglese, con Shakespeare, del teatro elisabettiano.
Le cui sette opere mettono in scena personaggi molto in conflitto con l’ordine sociale del loro tempo, come lo fu del resto la vita avventurosa e libertina del loro autore, una pericolosa esaltante sovrapposione tra vita e arte, che non poteva che concludersi tragicamente a soli ventinove anni.
Così la storia di Edoardo II, del suo amore per il favorito Glavestone, delle trame imbastite contro di lui dalla moglie Isabella e il suo amante Mortimer, viene trasfigurata, sintetizzata in venticinque minuti, «quanto una puntata di soap opera», precisa Ricci.
Soap opera i cui eroi «diventano nella quotidianità di tutti i giorni l’appuntamento, la boccata d’ossigeno che continuativamente ti racconti la vita, in una alienata sostituzione alla vita stessa». «Ecco, con questa Wunderkammer, cerchiamo di instillare nel pubblico la voglia e la necessità di riprendersi la vita».
In che modo? «Nel caso specifico di questa soap, attraverso il racconto, molto fisico e molto sensoriale, del senso di colpa che Isabella, emblema di femminilità abbandonata, vive per aver tradito Edoardo. Un senso di colpa che ci accomuna, dietro a ogni tradimento c’è la dolorosa consapevolezza di non essere più oggetto delle attenzioni della persona amata e che il suo sguardo, la luce dei suoi occhi non sono più rivolti a noi, ma a qualcun altro, uomo o donna non importa. Vivere il dolore di Isabella è anche, crediamo, un modo per riflettere su quanto investiamo nelle relazioni e quanto poco di questo ci viene dato indietro».
Tornando al rapporto spettatore attori, Stefano Ricci sottolinea l’alto tasso di coinvolgimento stimolato dall’annullamento delle distanze, «di modo che lo spettatore diventa parte integrante della scena e dovrebbe vivere emotivamente il dramma oggetto della rappresentazione. Anche se molto dipende di volta in volta del tipo di reazioni che i performer, in questo caso tre donne, tre facce di una stessa disperazione, avvertono di aver stabilito con gli astanti».
Ci sono nella narrazione, possiamo chiamarla a questo punto così, punti fermi, derivati dal testo di Marlowe? «Sicuramente l’intreccio dello spettacolo si basa su punti fissi ma non è la storia di Edoardo II che ci premeva rappresentare, quanto le dinamiche emotive che quella storia tragica può far scatenare riportandole alla nostra attualità, al nostro bisogno di eroi per sospendere il tempo della vita, che invece cerchiamo di porre al centro della nostra ricerca».
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