Sokurov, guerre e confini: «La via della pace è ancora lontanissima»
Mercoledì 16 luglio il cineasta russo ospite della Milanesiana a Gorizia: «Ho l’impressione che la confusione sia ingestibile»

Sokurov, il regista visionario nativo siberiano, è ricordato in Italia per un ruggito festivaliero, nel 2011, quando la giuria della Mostra del cinema di Venezia gli consegnò il Leone d’oro per “Faust” ultimo atto di una tetralogia cominciata con Hitler (“Moloch”), proseguita con Lenin (“Taurus”), Hiroito (“Il sole”) e conclusa con l’unico personaggio dei quattro che risale dal passato della letteratura.
Nell’universo cinematografico il maestro russo settantaquattrenne appartiene a una casta rinomata, in antitesi al glamour hollywoodiano, che ha una sua precisa e coraggiosa idea di sostanza filmica, una voce spesso contraria come accadde per il debutto di fine anni Ottanta quando “La via solitaria dell’uomo” fu censurato per formalismo.
Non è facile incrociarlo sui palcoscenici italiani, ma la celebre rassegna “La Milanesiana” di Elisabetta Sgarbi una specie di miracolo l’ha compiuto offrendo il proscenio goriziano del teatro Verdi proprio al cineasta di Podorvicha, per Gest Go e Go!2025 con il sostegno di Civibank, mercoledì 16 luglio, alle 21, in dialogo con la critica cinematografica Aliona Shumakova e, quindi, all’altrettanto iconico Claudio Magris per una serata raffinata agli ordini di una tematica che si fa urgenza in questi tempi di grandi incertezze globali, ovvero “L’intelligenza dei confini”.
Dal titolo forte della serata vorrei iniziare, sostenuto dalla sua ricerca sui confini soprattutto morali in rapporto all’anima e all’identità russa.
«Una tematica imponente che richiama ragionamenti filosofici. Oltreché dolorosa. Per secoli motivo di una riflessione costante sull’etica e sulla ragione. Ciò che succede in politica è orrendo. Guerra e pace, differenze sessuali: in qualunque pensiero profondo domina il caos. Ho l’impressione che la confusione sia ingestibile. Come impossibile sarebbe chiedere a un contemporaneo manovratore della politica di ragionare sulla questione morale. La Sgarbi ha davvero individuato una delle questioni più contingenti del decennio».
Maestro, perdoni la domanda secca: ma questa guerra finirà?
«Non penso proprio. La via della pace è lontanissima. Mi rifaccio al mondo animale: l’istinto è quello di prevalere per la supremazia della natura. Nel mondo degli umani è applicato lo stesso crudele principio. La questione comune è che uno Stato pensa sempre di poter dominare sul vicino. Forse bisognerebbe cambiare qualcosa nella “testa” dell’Onu, affinché s’inverta un principio pericoloso. E se si vietasse la guerra per legge?».
In questo viaggio in terra giuliana lei porterà con sé due pellicole significative del suo modo d’interpretare il cinema, ovvero la versione restaurata de “Il sacrificio serale” del 1988 ed “Elegia dorogi” del 2001.
«Le due opere esplorano il dolore, la memoria e il senso del sacro. L’elegia dell’attraversata. Qualunque nostro gesto implica un percorso lungo o breve che sia. Il mio preferito è quello con meta finale un museo. Poter ammirare un quadro è uno dei gesti più importanti. Certo, l’esistenza è un’attraversata che finisce male, verso la sorgente, verso la morte. Anche la lettura di un libro è un’attraversata».
C’è un regista italiano che la emoziona?
«Non c’è alcun dubbio: Federico Fellini. In lui individuo la cordialità e la potenza del cuore: sensazioni difficilmente paragonabili con altri. È la piuma di un cigno che volteggia perché leggera, ma raffinata. Guardare le sue opere equivale ad ascoltare Donizetti. Fellini era in grado di capire tutto della sua epoca e si esprimeva sempre con garbo e con una fantasia illuminante, mai usando nulla che avesse a che fare con la cattiveria. Il cinema, parliamoci chiaro, è un coltello affilato, un rasoio, ma nelle sue mani diventava leggerezza. Ogni sua storia ridestava il desiderio di vita. Fellini è l’ottimismo della cristianità».
Si ricorda la sua famosa intervista al premio Nobel per la letteratura Aleksandr Isaevič Solženicyn?
«Lui ha sempre sofferto molto per il destino dei compatrioti e per questo motivo oggi in Russia lo si detesta. Il suo comportamento equivaleva a quello di un padre severo che tutto vedeva, ma era capace di perdonare. Vorrei aggiungere che la Russia, dal punto di vista istituzionale, è relativamente giovane e il popolo è paragonabile a un adolescente che ancora non ha capito la propria vocazione».
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