Un secolo fa l’addio a Zardini, il compositore di Stelutis alpinis

Era nato a Pontebba nel 1869. Scrisse anche l’inno sociale della Società filologica. La prima esecuzione nel 1918 a Firenze, lo incise anche Francesco De Gregori

Gianfranco Ellero

Non sarà una nazione il Friuli, o una “nazione proibita” come qualcuno affermava cinquant’anni fa, ma di certo ha il suo inno nazionale: “Stelutis alpinis”.

Quella lenta e malinconica melodia risuona di solito nelle colonne sonore di film e documentari sulla Grande guerra, e potremmo dire che si tratta della sua giusta ambientazione visiva, ma quelle parole in friulano e quelle note musicali affondano in valori profondi, individuali e sociali, che superano il motivo ispiratore.

Arturo Zardini, l’autore di quell’inno di tristezza, non di eroismo, giustamente incluso in repertori di canzoni contro la guerra, si spense a Udine il 4 gennaio 1923, e il giorno 5 fu salutato sui quotidiani locali con brevi articoli su una colonna in pagina interna: affettuoso e commosso quello de “La Patria del Friuli” di Domenico Del Bianco, più corto e burocratico quello del “Giornale di Udine” di Isidoro Furlani.

Su entrambi apparve il necrologio della Società Filologica Friulana, per la quale aveva scritto l’inno sociale nel 1919 – 20, e soltanto sul secondo quelli della Famiglia e del Comune di Pontebba.

Turo Mulinâr, così per i compaesani, figlio di Antonio e di Caterina Gortani, era nato a Pontebba il 9 novembre 1869. Ebbe per maestri don R. Tessitori, cappellano di Pontebba e insegnante elementare, e il maestro E. Kolbe, direttore della banda locale. A causa delle difficoltà economiche, nell’adolescenza fu un precoce emigrante stagionale in Carinzia, dove lavorò come apprendista muratore.

Nel 1888 si arruolò nell’Esercito e fu assegnato quale allievo cornettista alla banda del 36° Reggimento di fanteria Pistoia, di stanza a Modena. Sotto le armi rimase per quattordici anni ed ebbe modo di maturare una buona formazione musicale, frequentando anche, dal 1894 al 1898, l’Istituto musicale di Alessandria, e poi il Liceo musicale Rossini di Pesaro per un corso annuale di perfezionamento.

Congedatosi nel 1902 col grado di maresciallo maggiore, fondò a Pontebba il gruppo corale e fu assunto dal Comune quale impiegato all’anagrafe e maestro della banda.

La composizione dei suoi canti friulani, fatta eccezione per Il Ciant de Filologiche, si realizzò per lo più nei dodici anni che precedono la Prima guerra mondiale; poi fu costretto ad abbandonare Pontebba, rasa al suolo dai cannoni austriaci, per riparare a Moggio e, alla fine d’ottobre del 1917, a Firenze; e in quei drammatici traslochi andò perduta anche una parte rilevante dei suoi spartiti, quasi sempre autografi.

Ma a Firenze, nel 1918, profondamente toccato dall’“inutile strage”, si accese la fiamma che gli avrebbe dato una gloria universale: “Stelutis alpinis”.

La prima esecuzione di quello che Chino Ermacora, in “Piccola Patria” del 1928, definì “Il canto dell’alpino morto”, avvenne nella locanda “Il porcellino” di Firenze: fu là che un improvvisato coro di esuli pontebbani eseguì per la prima volta quel canto sublime, che diede valore universale ai sentimenti dell’anima friulana.

La prima esecuzione ufficiale, da parte della Società Corale di Pontebba, avvenne a Udine, a Palazzo Bartolini (oggi sede della Civica Biblioteca), il 5 dicembre 1920.

Il 5 gennaio 1923 Domenico Del Bianco salutò il Maestro in tono accorato: “Non sorriderai più con quel tuo sorriso buono che sempre illuminava la faccia onesta, non potremo più ricorrere all’ammirabile premura che ti faceva pronto a cooperare per l’utile altrui”. E anche se “la fiamma della tua genialità si è spenta, e più non batte il tuo cuore generoso e buono” i friulani sapranno custodire gelosamente il “retaggio nobilissimo” della tua musica: promessa mantenuta, fino ad oggi.

Ma se anche i friulani dovessero scordarsela, molti altri continueranno a suonarla e gustarla in Italia e nel Mondo. Tradotto in altre lingue, infatti, “Stelutis alpinis” appare nei repertori del Coro Tone Tomsic di Lubiana e dei Pilippines Madrigal Singers di Manila, ad esempio. E Francesco De Gregori, arrangiandolo per voce sola, lo ha inserito nell’album “Prendere e lasciare”

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