“Strolic”, il biel furlan dell’operazione Zorutti per ricordare chi siamo

NICOLA COSSAR. Strolic lontan, Strolic dongje, Friûl lontan, Friûl dongje. Sembra esserci un abisso tra la poesia di Pietro Zorutti e la marilenghe di oggi, tra i tempi della natura che scandiscono e colorano i 12 mesi dell’invenzione letteraria di Siôr Pieri e quelli frenetici e disumanizzanti di oggi. Un abisso di anni e di stili, qualcosa di inconciliabile, quasi una collisione di mondi. Ma anche no.... Soprattutto se al centro di questo discorso mettiamo il desiderio, bello e sincero, di far rivivere quel Friuli vestendolo della sensibilità e della musica di questo terzo millennio. Senza fare confronti o playlist, senza critiche o approfondimenti culturali; non è un’operazione linguistica, è un gesto d’amore. Oplalèle oplalà!
La squadra. Regista di questa Operazione Zorutti è Luca Bonutti, instancabile anima musicale friulana (da Castions delle Mura), che con il suo eccellente e ricco strumento (il coro Natissa di Aquileia... a proposito di radici) si è messo nelle mani di quello che per noi è oggi il compositore numero 1 di questa terra: Valter Sivilotti. E nella voce del grande Omero Antonutti di Blessan. Al loro fianco, in questa super-squadra di Strolic, la stupenda voce di Dorina Leka e tre maestri come Sebastiano Zorza (fisarmonica), Marko Feri (chitarra) e Mauro Meroi (contrabbasso), perfetto trio di strumenti popolari.
Tre date. Dopo il concerto al Mittelfest, stasera, alle 20.30, nel salone del Parlamento, in castello a Udine, ci viene offerta la preziosa occasione di riascoltare ancora meglio il progetto, divenuto intanto disco (registrato a Precenicco da Stefano Amerio, il cavaliere del suono che l’ECM ha subito adottato). Repliche domani ad Aquileia (alle 20.45, in sala Romana)e domenica a San Giorgio di Nogaro (20.30, in auditorium).
Un’idea per il Friuli. «Non ho cercato lontano, ho solo ascoltato il cuore» dice il maestro Bonutti per spiegare in una frase il progetto. Poche parole che sono bastate a Omero Antonutti per accettare di essere la voce, un Siôr Pieri straordinario e profondamente saggio, un padre (e non padrone...) per noi che lo ascoltiamo strolegâ: «Da furlan-triestin che gira il mondo, ero scettico, mi sembravano cose lontane, versi lontani, estranei - ci confida -. Invece, cedendo all’affettuosa testardaggine dell’amico Luca, in quel vecchio poetare ho ritrovato l’energia delle mie radici, la freschezza del biel furlan. Oddio, non quello che ascoltavo nell’osteria con coloniali di mia zia, o da Alme, dove da bambino avevo imparato tutte le bestemmie in friulano! Ascoltandomi mentre leggevo quei versi, ha sentito dentro di me il suono di una cultura, di una civiltà contadina, lo scorrere di un tempo giusto, più giusto. Mi mancavano quei ritmi della natura e dell’uomo, quell’identità che quando torno nella mia amata terra non avverto più. Non è un rimpianto, bensì il desiderio di mantenere una rotta, di proteggere un’appartenenza. Con orgoglio, perché la lingua è la tua anima, la tua lingua sei tu. E poi la musica di Sivilotti, stupenda e ben interpretata da tutti in un sapiente equilibrio di radici (parola) e novità (musica), di generazioni diverse unite da uno spirito alto, bello e pulito».
Musica nuova. Ce l’aveva detto più volte Sergio Endrigo: «Non sai che fortuna avete voi friulani: avete Valter Sivilotti!». Valter ha accettato la sfida zoruttiana di Bonutti e ha vinto: alla grande! Ha preso pezzi dorati di folclore e li ha mescolati con il proprio universo musicale, che spazia dai Balcani all’America Latina, da Berlino alla Parigi di Django, dalle Isole britanniche al musical americano. Vesti nuove e inusitate forse, sorprendenti quanto azzeccate, perché pensate sui ritmi e i colori delle stagioni, sui suoni e sui rumori dell’uomo e della natura. Mese dopo mese, ogni quadro ha tinte diverse, un pulsare che ti avvolge e ti carezza, ti culla e ti travolge. Sono le stanze della vita che Zorutti canta con la cultura del suo tempo e con la sua sensibilità, forse lontana, forse passata, ma non dimenticata.
Odi et amo. Un poeta che Pasolini non amava, e Marchetti ancora meno. «Certo - commenta Antonutti -. Questo lo sappiamo bene, ma nella nostra cultura non c’è bisogno di scontri e classifiche, c’è spazio per entrambi, per Siôr Pieri e per Pier Paolo, pur con tempi, profondità e ordini di grandezza molto diversi tra loro. Però mi lasci aggiungere una cosa cui tengo molto. Una delle pagine più belle Pasolini l’ha scritta in friulano: I turcs tal Friûl, un autentico oratorio moderno. Ero andato a vederlo perché nell’allestimento di De Capitani recitava la mia amica Lucilla Morlacchi: al termine avevo le lacrime, perché grazie a Pasolini la lingua dei miei vecchi aveva ritrovato, dignità, splendore e grandezza».
Regia e affetti. Se oggi abbiamo uno spettacolo musicale nuovo in marilenghe (non accadeva dal 1946), se Antonutti è tornato per questa poesia corale, se Sivilotti ha trovato un’ispirazione straordinaria, se tutto questo è oggi anche un disco, il merito è soprattutto di Luca Bonutti. La sua meravigliosa e vulcanica costanza - sostenuta e interpretata con passione dal coro Natissa - l’abbiamo già apprezzata con i due splendidi dischi dedicati alle canzoni della radio. Eccolo ora lanciare un’altra sfida d’amore e intelligenza, una carezza in musica e marilenghe alla sua terra, alle radici, a chi ci ha insegnato la strada. Per non dimenticare mai chi siamo.
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