Sessant’anni fa la legge costituzionale che diede l’autonomia alla Regione Fvg
Un percorso a tappe dal Memorandum di Londra del 1954
al compromesso politico del ’62 per creare le Province

UDINE. Considerate spesso soprattutto in termini di dibattito regionale, le tappe della nascita della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia (istituita il 31 gennaio 1963 con l’approvazione della legge costituzionale) spiegano invece molto della storia politica nazionale della Repubblica sorta nel 1946.
L’istituzione della Regione Friuli-Venezia Giulia tornò al centro dell’attenzione dei partiti nazionali a metà degli anni Cinquanta, dopo che la sua realizzazione era stata congelata nel 1948 dalla X disposizione transitoria della Costituzione.
Due fatti vi concorsero. In primo luogo il Memorandum di Londra del 1954, cioè l’accordo tra Italia e Jugoslavia, Gran Bretagna e Stati Uniti, che archiviava la possibilità di trasformare Trieste in un “territorio libero” e assegnava la parte occidentale del distretto all’Italia: bisognava dunque trovarvi una collocazione nella rete delle regioni e la destinazione più naturale era quella assieme al Friuli nella regione autonoma già individuata dall’Assemblea costituente nel 1947.
L’altro fattore che impresse un passo diverso alla questione fu interno al Partito Comunista, che aveva avuto sin da subito una posizione fortemente critica rispetto al regionalismo repubblicano. Questa non era stata però la posizione dei comunisti friulani, o almeno non di tutti (per esempio di Pier Paolo Pasolini), cosicché quando nel 1954 il Pci friulano si affrancò da quello veneto, Mario Lizzero, che ne divenne segretario, convocò subito un “Primo convegno regionale del Pci per l’autonomia al Friuli-Venezia Giulia”. Su posizioni nettamente autonomistiche (triestine) rimaneva invece il Pc triestino.
Seguirono gli anni del defaticante dibattito locale e parlamentare sulla forma da dare allo Statuto della nuova istituzione regionale, mentre contemporaneamente languiva anche la realizzazione delle regioni a statuto ordinario, che sarebbero sorte addirittura nel 1971. A complicare questo già di per sé complicato regionalismo ci si mise lo spostamento a destra dell’asse politico nazionale: dal 1957 al 1960 (governo Tambroni) la DC governò con l’appoggio esterno del Movimento Sociale Italiano, il partito antiregionalista per antonomasia, che aveva in Trieste la sua roccaforte (34 mila voti nelle elezioni della Camera dei Deputati del 1958), dove si batteva contro il bilinguismo e contro ogni misura di riconoscimento della minoranza slovena.
Il dominus della vita politica italiana era naturalmente la Democrazia Cristiana, i cui risultati elettorali negli anni Cinquanta (sopra il 40%) rimasero, a livello nazionale, superiori a quelli di Pci e Partito Socialista assieme. Nella circoscrizione Friuli Venezia Giulia del Senato il partito di don Sturzo e di De Gasperi ottenne invece, fino alle politiche del 1958, la maggioranza assoluta dei voti espressi.
L’individuazione di un punto di caduta per lo Statuto regionale fu trovata nel 1962 in un articolato compromesso che prevedeva, oltre a Trieste come capoluogo regionale, l’istituzione di quattro province, tra cui quella di Pordenone da ricavare dal corpo di Udine, cinque circoscrizioni elettorali corrispondenti ai tribunali provinciali più quello di Tolmezzo, l’istituzione dell’Ente autonomo Porto di Trieste, una competenza legislativa regionale su oltre settanta materie e altro ancora.
La spinta decisiva alla chiusura dello Statuto era però provenuta dal cambiamento dell’atmosfera politica nazionale, che produsse uno slancio di riforme in molti settori della vita pubblica. Sul piano elettorale e dell’esecutivo nelle elezioni del 1963 la Democrazia Cristiana, pur rimanendo di gran lunga il primo partito, non avrebbe più superato la somma dei voti di Pci e Psi.
La nascita nel dicembre 1963 del governo Moro, il primo a cui prendeva parte il Psi, inaugurò così l’età del centro-sinistra, segnando una svolta decisiva rispetto all’Italia che era uscita dalle elezioni epocali del 1948.
Il passaggio da una forma di governo monocratico a un esecutivo di vera coalizione aprì una stagione di riforme. Non solo a carattere regionale, con la nascita della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e la separazione di Molise e Abruzzo, ma di rafforzamento generale dello Stato. Vennero ammesse le donne ai pubblici uffici e alle professioni (magistratura compresa) dando attuazione al principio costituzionale della parità di genere nei luoghi di lavoro. Fu riformato il numero dei parlamentari e venne uniformata la durata del mandato nelle due camere, superando il modello albertino, fu completata la riforma dell’amministrazione pubblica.
Nelle elezioni del primo Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia, tenutesi il 10 maggio 1964, si presentarono tutti i partiti nazionali, oltre all’Unione slovena (Slovenska Skupnost), il partito che si proponeva, di tutelare la minoranza alloglotta. La Dc, abbandonando i toni di forte scontro ideologico del passato, confermò la propria posizione, ottenendo 28 dei 60 seggi consiliari, e costituì una Giunta regionale assieme al Psdi, che dal 1966 avrebbe incluso anche il Psi e il Pri.
Un considerevole risultato ottennero sia i liberali (6,2%, 3 consiglieri) che il Movimento sociale italiano (6,1%, 3 consiglieri). Presidente della regione a statuto speciale fu Alfredo Berzanti, già partigiano osovano, ex-deputato moroteo e presidente della Dc friulana. —
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