Quella bufera sull’Eiger che 50 anni fa si portò via il sorriso di Angelo Ursella

alessandra beltrame

«Fiore nobile la stella alpina. Non so esprimere la gioia che provavo quando la incontravo nel mio vagabondare». Nel 1969 Angelo Ursella è poco più che ventenne e la rivista nazionale del Club alpino italiano accoglie i suoi articoli. «Da ragazzo andai al campeggio e raccolsi tante stelle alpine, e le nascondevo per timore che me le portassero via. Fu allora che imparai ad amare la montagna. Scoprii la gioia di camminare in una foresta di pini, di spegnere la mia sete nell’acqua limpida di un ruscello». E ancora: «Per andare in montagna mi servivo della bicicletta. Tarvisio, Passo Mauria, Sappada... Partivo presto al mattino e pedalavo verso i monti. Nel Ferragosto del 1964 partimmo in vespa, mio fratello Silvio e io, alla volta di Misurina. La vista delle Dolomiti, il loro fantastico colore, mi colpirono profondamente, e non riuscivo più a staccare gli occhi dal profilo di quelle vertiginose pareti».



Il 23 giugno 1969 Angelo Ursella manda alla Rivista del Cai una lettera nella quale cerca compagni di cordata. Il suo appello fa il giro del mondo degli scalatori. «Com’è possibile che un alpinista di questo calibro sia solo?» si domanda Marcello Rossi, che scrive la prefazione al libro “Il ragazzo di Buia”, uscito postumo nella celebre collana I Licheni di Vivalda. Angelo è un solitario: formidabile passione ed eccezionale talento lo rendono un outsider. La lettera colpisce, i compagni lo cercano, ed eccolo assieme agli alpinisti friulani e carnici che ruotano attorno alla Società alpina udinese. Paolo Bizzarro è fra i primi: «Angelo aveva imparato tutto da sé», scrive il futuro accademico del Cai che si lega alla corda di Ursella per salire l’impegnativa via Carlesso-Menti alla Torre di Valgrande nel massiccio del Civetta. «Arrampicò per quattro stagioni, per un totale di quasi quaranta ascensioni alpine, quasi tutte di ordine estremo» racconta Bizzarro nell’epitaffio.



L’elenco è impressionante: comincia con la Cassin della Piccolissima di Lavaredo «superata da solo, con staffe, moschettoni e una corda di canapa dipinta di rosso per evitare i commenti ironici». Poi la Preuss alla Piccolissima e lo Spigolo Giallo, le vie Miryam e Franceschi alle Cinque Torri di Averau, lo Spigolo degli Scoiattoli alla Ovest in solitaria, la via Dibona alla punta Giovannina nel gruppo delle Tofane, ancora solo: è una prima assoluta. E così via, fino a quando punta al Monte Bianco e «vince lo sperone Cassin delle Grandes Jorasses». Scala la via Jori dell’Agner da solo in un tempo record e sulle Giulie lascia il segno sulla Cima di Riofreddo e in invernale sulla parete est del Bila Pec (con Rodolfo Sinuello). Scrive Oscar Soravito, allora presidente della Saf: «Quando mi aveva accennato al proposito di tentare la salita alla parete nord dell’Eiger assieme a De Infanti non ho cercato di dissuaderlo, come avrei fatto per altri nostri giovani alpinisti. Lo ritenevo ormai maturo per un’impresa del genere. Gli feci solo la raccomandazione di partire con il tempo sicuramente favorevole».



Così è quando Angelo e Sergio (De Infanti) partono alla volta della Svizzera: «È sabato 11 luglio, sono seduto sul gradino ad aspettare Angelo che torni dal lavoro; fra poco inizierà la grande avventura», scrive De Infanti, scomparso nel 2018. «Siamo a Udine all’Upim, sembriamo due fratelli che devono partire per il campeggio; due cestelli carichi di viveri sono in macchina. Compriamo una carta stradale svizzera e via, verso la tanto sospirata montagna». E poi all’arrivo: «Il tempo è bello, neanche una nube, i due sacchi sono preparati; contiamo molto sulla nostra preparazione: allenamento e rapidità d’azione; il piano è fatto, se non viene un tempo d’inferno, in tre giorni dovremo andare e tornare». Partiti all’alba del 13 luglio per le Alpi Bernesi, la sera bivaccano in parete con il temporale. Il 14 nevica, fa bufera. Proseguono. Arrivano sotto il nevaio terminale. Il racconto è drammatico: «16 luglio, giovedì. La lotta contro le slavine ci ha spossato… Angelo vuole andare avanti… sento un urlo e vengo strappato dal suolo per andare a battere con violenza la testa sulla roccia sei-sette metri più sotto». De Infanti resisterà tre giorni sulla parete al freddo e senza cibo e verrà salvato dall’elicottero del soccorso alpino, che recupererà anche il corpo di Ursella. Aveva 23 anni. Sul posto si trovava Marino Tremonti, celebre alpinista udinese, oggi 96 enne, che conosceva entrambi. «Mi occupai delle procedure burocratiche e di soccorso, fu terribile». De Infanti narrerà quella scalata lasciando una traccia indelebile della tragedia e in settembre compirà con Paolo Negro una prima ascensione nel gruppo del Peralba dedicando la via a Ursella.



Il Cai di Buia ricorderà Angelo Ursella con una cerimonia domani, venerdì, prima sulla sua tomba nel cimitero di Santo Stefano (alle 18.30) e poi in duomo (alle 19). Attorno ci saranno gli amici d’infanzia e quelli con cui ha cominciato ad andare in montagna. Come Roberto Bortolotti: «Ho conosciuto Angelo nel soggiorno estivo a Piani di Luzza nell’estate del 1958. Mi propose di barattare la piccozza regalatami da mio zio Tite con cinque “Topolino”. Ricordo ancora il suo sguardo illuminato quando gliela consegnai”. E Franco Molinaro, citato nei diari di Angelo: «Quel fatale venerdì 17 si scatenò un violento temporale a Buia e il mio pensiero andò ad Angelo. Stavo aspettando il suo ritorno. Mi fermai a comprare il Messaggero Veneto: in prima pagina si annunciava la morte di un alpinista. Era lui». —





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