Mancuso: «Di Piazza ci insegna che la fede se non diventa etica non fa del bene»
Il filosofo ha dedicato il suo nuovo saggio al religioso friulano. «Come il giudice Livatino è stato un grande maestro»

Mai come in questi nostri tempi è pressante e angosciante la sensazione che il “mondo sia fuori di sesto”, come faceva dire Shakespeare ad Amleto, il suo personaggio più in sintonia con il sentire contemporaneo.
Guerra, pandemia, disastrosi cambiamenti climatici, relazioni tra le persone sempre più affidate alla virtualità delle nuove tecnologie, una secolarizzazione che investe tutti i campi, religione compresa, un vuoto valoriale che investe la politica, sempre più in crisi: sono solo alcuni dei problemi che affiggono l’umanità del terzo millennio. Ai quali ci si approccia, quando ci si approccia, sempre più spesso con superficialità, con mente distratta, anche con fastidio.
A cercare di fare un minimo di chiarezza in tanta confusione un libro da poco in libreria: Etica per giorni difficili (Garzanti editore). Un importante volume del filosofo e teologo Vito Mancuso che rilegge questo nostro mondo alla luce dell’imperativo etica, del fare il bene per stare bene. L’abbiamo sentito e gli abbiamo chiesto quanto è urgente parlare oggi di etica?
«È così urgente da costituirsi quasi come una questione di vita o di morte della nostra civiltà. Perché non ci sono rimasti molti altri riferimenti normativi che ci possano spingere a essere migliori, a spenderci per qualcosa di più importate. La religione lo è sempre meno come anche la politica che un tempo aveva un’idealità.
Sia la politica sia la religione hanno avuto nei confronti dell’etica un senso di superiorità pensando di strumentalizzarla alle loro finalità. Adesso l’etica deve proporsi da sola, con un’educazione etica effettiva e vasta e sistematica: solo così c’è la possibilità che la nostra civiltà fermi il suo decadere».
E non solo in riferimento agli interventi dell’uomo che hanno devastato la natura.
«Perché quello che è veramente decisivo è il passaggio dall’egocentrismo a una centralità diversa, a qualcosa che trascenda il singolo sentire per diventare invece relazione al servizio della natura, ma anche a quello del bene, dell’armonia politica, della polis come dei rapporti interpersonali, affettivi e sentimentali».
Cosa distingue l’etica dal buonismo?
«Con buonismo intendo quell’atteggiamento moralistico di chi fa i conti solo con se stesso, di chi si preoccupa solo di preservare i propri ideali, la propria anima, senza la capacità di effettivamente incidere sulla realtà.
Mi rendo conto che bisogna distinguere la dimensione interiore da quella esteriore soprattutto quando è politica e sociale e quando altri che la pensano diversamente da te il compito della politica è trovare una mediazione che sappia parlare il più possibile a tutti. In questo senso l’etica è sempre relazione capace di abbracciare un numero vasto di persone».
Non c’è il rischio del relativismo, oggi imperante a tutti i livelli?
«Ci sono due estremi, quello dei principi, dei valori e quello della realtà priva i ideali. In mezzo c’è la razionalità che significa tener conto del contesto, altrimenti il solo valore diventa assolutismo fanatismo e integralismo, e senza valore diventa relativismo. La via di mezzo è la vita effettiva dell’etica».
Etica come utopia?
«Le vecchie utopie volevano cambiare il mondo, la nuova utopia mira più modestamente a non farsi cambiare dal mondo. Un rischio oggi sempre più evidente. Un tempo c’era la possibilità di difendersi più facilmente dal mondo, oggi meno.
L’utopia è esattamente far si che il mondo, non entri a stravolgere completamente le nostre anime e soprattutto quelle dei giovani i più esposti alle sollecitazioni, e per mondo intendo i signori dell’algoritmo impedendo loro di trasformarci da homo sapiens a homo consumans».
Che fare?
«Se è vero che l’etica è questione di vita o di morte della nostra civiltà e umanità, allora ne segue che uno dei compiti più urgenti è l’educazione etica a partire dalla scuola».
Il libro è dedicato al giudice Livatino e a Don Pierluigi Di Piazza.
«Due figure, due immagini eroiche del bene. Il primo opponendosi fino a morire alla mafia. Il secondo anche lui grande maestro di etica mostrando come la spiritualità, la fede, la religione se non diventano etica concreta restano religiosità sterile, incapace di essere e fare il bene».
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