Lo Giudice dall’Antoniano al set: «Zecchino d’oro scuola di vita»

La storia dello Zecchino d’Oro è la storia dell’Italia. Di un’Italia che migrava al suo interno, che ancora non riusciva a riconoscersi in quel boom economico che interessava una minima parte del paese. La storia di un’Italia vista con gli occhi dei bambini, poveri, ricchi, semplici, in comune una bella voce e il desiderio di sentirsi uguali. Lo Zecchino d’oro è soprattutto la storia di Ambrogio Lo Giudice che oggi fa il regista e che si è portato dentro il miracolo della sua infanzia salvata da un si bemolle e da una signorina dolcissima e inflessibile capace di immolarsi per il Piccolo Coro dell’Antoniano di Bologna che oggi porta il suo nome: Mariele Ventre.

Questa storia delicata che ha il sapore sano d’altri tempi, arriva in film tv, coprodotto da Rai Fiction e Compagnia Leone Cinematografica in onda domenica in prima serata su Rai 1. La regia è affidata ad Ambrogio Lo Giudice che così si racconta: «Il film è in gran parte autobiografico, ma per necessità televisive abbiamo unito vari Zecchini in uno solo. Io non ho mai cantato da solista, facevo parte del coro. Sono rimasto dagli 8 ai 12 anni, quando poi eravamo costretti ad andar via a causa della voce che a quell’età cambia. Facevamo dischi, tournée internazionali, lezioni di canto il pomeriggio, un gran lavoro, ma è stato un dolore immenso andare via. L’ultima cosa che riuscii a fare fu la sigla di Canzonissima che è poi il finale del film».

Il piccolo Ambrogio che in fiction si chiama Mimmo, è un ragazzino difficile, ribelle: «Sono figlio di siciliani arrivati a Bologna per cercare lavoro. Ho subito avuto problemi d’adattamento e d’integrazione, a scuola andavo male e preferivo la strada alle lezioni. Negli anni Sessanta non era così facile sentirsi meridionali. Un giorno buttai giù dalle scale il capoclasse e il maestro chiamò i miei genitori. Aveva capito che non ero cattivo e che potevo essere salvato. Disse a mia madre che avevo una bella voce e le consigliò di portarmi all’Antoniano per fare le selezioni ed entrare nel coro. Fui preso e la mia vita cambiò. Incontrai Mariele ed entrai nel mondo dello Zecchino d’oro. Riuscii a integrarmi grazie a lei che teneva moltissimo che tutti fossimo uguali, era il senso del coro e fu la svolta».

Nella vera vicenda lei non ha mai cantato da solista, invece è vero che si legò moltissimo ad altri due bambini, formando un gruppetto inseparabile. Li vede ancora? «Purtroppo ci siamo persi, sono andato via presto da Bologna e ho vissuto all’estero, ma con Facebook ci siamo ritrovati. Anche la canzone che mettiamo come vincente non è realmente esistita, l’ho composta io per il film».

E Mariele Ventre, chi era per lei? «Una donna meravigliosa e dolcissima che riusciva a darmi la disciplina che io non avevo e che usava il canto come strumento di educazione. Attraverso lei riuscivo a fare cose che da solo mi erano negate». Mai cantato da solista, ma una canzone avrebbe voluto cantarla? «Sì, mi sarebbe piaciuto tantissimo cantare Popoff». –

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