L’Apocalisse del ’15’-’18 nelle trincee sul San Michele

PAOLO MEDEOSSI. Il Carso è un mondo a sé, un paesaggio invisibile, perché nasconde natura e storia dietro ogni angolo. Camminando tra le sue pietre, lungo sentieri misteriosi, è possibile trovare una trincea oppure il rosso di un sommacco, un cippo alla memoria o una macchia di asparagi selvatici e intanto, sollevando lo sguardo, laggiú in fondo spunta uno scorcio di mare, fino a Lignano o all’Istria. Luoghi brulli, affascinanti e da rispettare, come un grande giardino botanico intriso di vicende tragiche a strapiombo sull’Adriatrico.
A descrivere il Carso in questo modo e a parlarne cosí è un libro appena pubblicato dall’editore Gaspari di Udine che continua nel suo impegno dedicato ormai da decenni ai personaggi e agli scenari della prima guerra mondiale. Marco Mantini, autore di numerosi testi su questi temi, presenta adesso “La zona monumentale del monte San Michele” (130 pagine, 18 euro), documentazione approfondita e aggiornata, con mappe e immagini, su uno dei luoghi cruciali e piú apocalittici in cui si combatté un secolo fa. Come è riportato su una lapide, ammonterebbe a 111 mila 873 il numero delle perdite, solo da parte italiana, legate alla conquista del monte situato tra San Martino del Carso e il vallone di Doberdò dall’inizio del conflitto all’agosto del 1916, quando i nostri riuscirono a sfondare, ma il dato va citato al condizionale in quanto è una pura stima, al ribasso, cui si deve aggiungere poi il triste fardello del nemico, rappresentato in gran parte da soldati ungheresi. Almeno 200 mila ragazzi persero la vita su queste pietraie in un macello immane che, nei pochi chilometri della linea carsica, causò complessivamente un’ecatombe di un milione di morti, età media 24 anni.
Cifre aride, ma che non vanno mai scordate perché sono ancora un urlo di condanna, anzi il monito principale, contro ogni atrocità bellica. E allora queste zone vanno visitate per conoscere, comprendere e informare i piú giovani.
Tutto il libro curato da Mantini, con l’apporto di vari contributi, è un invito a fare questo partendo dal progetto voluto dalla Provincia di Gorizia e chiamato “Carso 2014+” dove, come il presidente Enrico Gherghetta e la vicepresidente Mara Cernic spiegano, il nome scelto è fortemente simbolico in quanto, indicando la data di inizio del conflitto (che per chi abitava nel Friuli austriaco era appunto il 2014), aggiunge un segno “+” a significare il fatto che, oltre alla memoria bellica, su queste alture c’è dell’altro.
L’idea nacque da un masterplan predisposto dall’architetto Andreas Kipar per raccogliere in una visione d’insieme i mille piccoli progetti e le iniziative in campo per far sí che ci sia un Carso non solo da ricordare, ma anche da poter vivere. Una decina di anni fa questo territorio era chiuso in se stesso, inconsapevole che la propria identità rappresentasse invece un valore europeo condivisibile e importante non solo per gli italiani. Il progetto “Carso 2014+” ha poi individuato tre punti principali su cui indirizzare gli interventi: accanto al lago di Doberdò e al sacrario di Redipuglia c’è appunto la zona monumentale del San Michele, quest’ultima sottoposta a opere organiche di recupero, le prime concepite in tal modo dopo la sua istituzione che risale ancora agli anni Venti, subito dopo la fine della guerra, quando il monte con le sue quattro cime era una immensa necropoli a cielo aperto, cosí descritta da Carlo Emilio Gadda: «Sito grigio, sito sassoso, lo chiamano monte perché fu tremendo il salire». Un primo progetto, predisposto nel 1920 dallo scultore e reduce Eugenio Baroni, prevedeva di costruire sulla dorsale un gigantesco monumento al Fante per onorare il protagonista principale e piú sacrificato del conflitto. L’idea venne scartata per la dimensione ciclopica e Baroni, indispettito, decise di sbattere la porta riconsegnando le onorificenze ottenute al fronte. Al suo posto venne eretto anni dopo il sacrario di Redipuglia, ma il San Michele continuò a essere meta di pellegrinaggi, conservando una forte valenza simbolica per tutti i contendenti, tanto da venir definito “la cima degli italiani e degli ungheresi” e oggi essere il luogo di una memoria condivisa, tappa di quella “Via della Pace” a cui è importante credere e dar seguito.
Il libro di Mantini spiega e rievoca indicando il modo migliore per conoscere, cioè andandoci. Tra gli itinerari proposti, spicca il parco Ungaretti, facilmente visitabile in poco piú di un’oretta. Lungo il cammino si incontrano la celebre trincea delle Frasche, il monumento dedicato alla gloriosa Brigata Sassari (una delle piú eroiche) e il cippo intitolato a Filippo Corridoni, famoso sindacalista e politico, morto qui e mai ritrovato. Il parco evoca nel nome il grande poeta e fante Giuuseppe Ungaretti che scrisse gli struggenti versi di “San Martino del Carso” in località Valloncello dell’albero isolato il 27 agosto 1916: «È il mio cuore il paese piú straziato».
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