La scomparsa di Giulio Savelli l’editore che riscoprì il liberismo

GIAMPAOLO BORGHELLO

Un tuffo negli anni ’70. La notizia della scomparsa di Giulio Savelli mi riporta alla mente la bella esperienza romana vissuta con la casa editrice Savelli. L’incipit è tradizionale, forse d’altri tempi. Nel 1975 mandai una letterina alla Savelli, proponendo di preparare un’antologia della critica su Pasolini nella loro prestigiosa collana Interpretazioni : così cominciò la mia storia con la casa editrice romana. Mi aspettavo, da buon settentrionale, un incontro alle 9 del mattino e invece arrivò una soave ‘convocazione’ , di taglio squisitamente romanesco, per le 11.30; la Savelli stava dalle parti di Piazza Cavour, in un bell’edificio inizio Novecento. Devo dire che il feeling scattò subito: mi incontrai con il direttore editoriale Dino Audino. Quasi paradossalmente Giulio Savelli non l’ho mai conosciuto; la storia della casa editrice romana è frastagliata e complicata. Nacque nel lontano 1963, si chiamava Samonà e Savelli e aveva un orientamento di sinistra (piuttosto eretico/alternativo), con un’attenzione particolare per Trotskij e per il trotzkismo. L’impresa nacque dall’incontro tra Giuseppe Paolo Samonà (esperto critico letterario e stimato docente universitario) e appunto Giulio Savelli. Siccome il mondo è piccolo, alcuni anni dopo ho conosciuto proprio Samonà nella commissione di un concorso per ricercatore a Pescara. A un certo punto il sodalizio si ruppe. Samonà lascio e rimase solo Savelli. Di lì a poco anche Giulio Savelli mollò, lasciando però il nome, il brand : il lavoro passò nelle abili mani di Dino Audino. Il feeling scattò; così nel 1977 pubblicai Interpretazioni di Pasolini : lo scrittore era morto da due anni e il quadro della critica era già vasto; oggi, con la bibliografia che si è allargata a dismisura, in Italia e all’estero, preparare un’antologia della critica su Pasolini richiederebbe uno sforzo ciclopico (diciamo 8 anni di lavoro…). Avevo poi nel cassetto un’ampia monografia su Svevo ma pensavo che non potesse rientrare nei loro interessi del momento. Tentai e il lavoro fu accolto immediatamente: «Vogliamo rafforzare la collana di Saggistica», sentenziò Dino Audino. Così il libro fu pubblicato al volo: non vollero leggere nemmeno una pagina; evidentemente si fidavano. Era un ambiente simpatico e scanzonato, ironico. Feci amicizia anche con Vincenzo Innocenti, che curava la parte finanziaria: ogni tanto mi faceva leggere le lettere più incredibili che piovevano sul suo tavolo da tutta Italia. E una volta disse una frase da saggio conservatore: «Qui, caro mio, bisogna fondamentalmente saper fare buona amministrazione».

A un certo punto la casa editrice purtroppo andò in crisi economica: il ‘buco’ non era enorme, ma anche a sinistra nessuno diede una mano. Dino Audino, tempo dopo, agli inizi degli anni ’90, ha fondato una sua casa editrice (la Dino Audino editore), che si occupa soprattutto di discipline dello spettacolo: cinema, teatro, televisione. Giulio Savelli invece iniziò un suo percorso ‘liberale’; dopo aver riscoperto i classici del liberalismo (Locke, Hume, Tocqueville), fondò la rivista «Il Leviatano», diventando poi nel 1996 parlamentare di Forza Italia; ma dopo un anno, deluso, passò al Gruppo Misto. Andava ripetendo che Tocqueville è più importante di Marx: confesso di non essere proprio d’accordo. —



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