La saga friulana di Giorgio Fontana «Galoppata tra quattro generazioni»



Arriva a Udine Giorgio Fontana ed è un evento. Domani, giovedì 20, alle 21 alla Libreria Moderna Udinese per la sua prima -attesissima- presentazione in città, l’autore di Prima di noi, (Sellerio, 22 euro), converserà con Paolo Mosanghini, vicedirettore del Messaggero Veneto.

L’attesa è forte, anche perché il passaparola tra i lettori di qui ha preso da tempo un’onda lunga e fioccano anche sui social le recensioni positive e i consigli di lettura di un’opera come Prima di noi da considerarsi riuscitissima. Eppure, Giorgio Fontana, nota a margine dell’intervista, nei social neppure c’è.

«Mi sono tolto da Facebook da sei anni, e da Twitter da qualche anno. Non mi appartiene il linguaggio dei social, tutto qui»

Lei ha scritto un lungo e ambizioso romanzo corale. Italianissimo, novecentesco, accurato nei dettagli. I riferimenti ai precedenti classici sono forti. La paragonano ai Buddenbrook. E tutto parte da Udine…

«Udine è essenziale nel mio lavoro. Gran parte della storia ha a che fare con la vostra città e con il Friuli. Anzi, di più. Il figlio del fante Maurizio da cui ha inizio la storia, Gabriele, che vive in Lombardia, ha una profonda nostalgia delle vostre terre. E’ una visione nel sfuma nel lirico. Come tanti ricordi. Perché in realtà il Friuli di cui parlo e anche molto povero e faticoso».

La Udine degli anni Trenta è accurata, e tutti i riferimenti agli oggetti e alle cose del tempo sono precisi. C’è un buon lavoro di documentazione. E poi il lessico… Fa piacere questo intento di recupero semantico, per un’idea condivisa di friulano come “lingua del cuore”.

«Ci sono volutamente inserimenti di parole in friulano. Studiando il linguaggio, anche grazie al contributo della Società Filologica, mi piaceva restituire un’idea fresca e viva della vostra regione, non sbagliando in nulla nelle differenze tra le varie zone in cui si parla la lingua. Il libro si chiude anche con una poesia di Pasolini “Dili”, tratta da “La nuova gioventù”».

Il libro è dedicato a suo nonno Luigi Fontana, e l’epopea dei Sartori, iniziata con Caporetto e terminata quasi ai nostri giorni, è forse la vicenda della sua famiglia?

«No, è una storia di finzione. Però è vero che le storie di Maurizio e Gabriele Sartori si ispirano alle vite del mio bisnonno Giovanni e di mio nonno Luigi. Sono racconti orali, diari e scritti».

Il suo libro, quasi novecento pagine, ha una lunga gestazione. A me ricorda, mi permetto, anche il bravo Salvator Gotta, de’ “La saga dei Vela”.

«Ci ho messo dieci anni. L’idea era quella di far partire una lunga storia che attraversasse il Novecento partendo da una doppia diserzione, un fante come il capostipite Sartori, che abbandona l’esercito e anche l’amore. E poi mi piaceva l’idea di una galopppata dentro quattro generazioni. Ci ho messo molto, perché per anni ho studiato, approfondito».

Lei ha vinto il Campiello a 33 anni nel 2014 con “Morte di un uomo felice”. Cosa è cambiato?

«La scrittura è diventata una professione. Ho un rapporto con l’atto creativo tutti i giorni, perché pure insegno. Da ottobre terrò anche un corso annuale alla Scuola Holden». —



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