La giornalista Alma a Trieste alla ricerca di quel “di là” che nasconde guerre e follie
In libreria il nuovo romanzo di Federica Manzon. La presentazione alla Libreria Moderna di Udine

“Alma”, il nuovo romanzo della scrittrice Federica Manzon (Feltrinelli, 272 pagine, 18 euro), non può essere ambientato che a Trieste, città in cui la parola che qui ricorre con insistenza, «di là», ha significato per anni la Jugoslavia, prima di Tito e poi delle guerre balcaniche. Ma di là in Alma assume anche altre valenze: il passato recuperato da una memoria nitida e al tempo stesso incapace di dargli un senso; la “follia”, dimensione “altra” che la psichiatria qui ha diversamente interpretato; il male assoluto che annida nell’animo umano e che di là ha devastato non solo le vittime della furia etnica, ma anche i carnefici.
Alma, una giornalista triestina fuggita a Roma, torna nella sua città per ricevere l’eredità lasciatagli dal padre, uno slavo dalle origini misteriose, affascinante e sfuggente.
Non aveva mai voluto rivelarle che lavoro facesse sull’isola dove la portava da bambina e dove incontrava il Maresciallo “dagli occhi di vipera”, né cosa continuasse a fare poi, nel tempo della guerra, di là. Era stata richiamata a Trieste da Vili, figlio di intellettuali serbi dissidenti che l’avevano affidato ancora bambino a suo padre e che con lei era cresciuto: amico e antagonista al tempo stesso e, a un certo punto, misteriosamente sparito, era ricomparso in un servizio televisivo, in una luce a dir poco equivoca.
Nei tre giorni precedenti all’incontro, Alma si muove nella sua città lungo l’itinerario del proprio vissuto: ritrova, nel viale dei platani, la casa dei nonni materni, dalle salde abitudini d’ordine proprie della colta borghesia mitteleuropea, ostili al matrimonio della figlia, sedotta invece dal “disordine” balcanico. Rivede i luoghi basagliani dove aveva lavorato la madre e tanti altri spazi propri della storia, del paesaggio, della topografia triestina, dal Caffè San Marco alla jeansinara Mirella, dal Porto vecchio con le masserizie dei profughi del magazzino 18 alla Risiera di San Sabba, dai Topolini al bagno Ausonia.
Né mancano, tra gli altri, gli scrittori Bazlen e Rilke, e neppure i profumi della cucina locale, dall’austriaca Wiener Schnitzel al carsolino Terrano, per non parlare delle frequentazioni dei casinò d’oltre confine.
Sono tasselli depositati fino alla ridondanza, stereotipi ben sedimentati. Se ne ricordasse solo un paio, potrebbero apparire inerti déjà vu, ma è proprio l’accumulo di tanti motivi assestati nell’immaginario cittadino a far sì che entrino in dialogo tra loro per restituire l’immagine complessa delle culture cui si richiamano. La stratificazione continua di memorie non risolve i dubbi di Alma, anche perché mai chiariti sono stati i legami con i genitori, e sfuggenti sono i rapporti con Vili e con Lucio, figlio di profughi istriani.
La narrazione scorre in un tempo composto, in cui i periodi cruciali della vita della protagonista si sovrappongono in un’alternanza che sposta continuamente il suo punto di vista. Il presente infatti è determinato dal passato, a sua volta riletto alla luce del presente.
Ed è così che il romanzo, attraverso un ingranaggio narrativo davvero coinvolgente, intreccia tra loro non solo la storia dei singoli personaggi con quella oltremodo complessa di un confine, ma riesce, soprattutto, a render conto di come possano scattare meccanismi che conducono a scelte imprevedibili: la scoperta dell’amore ma anche dei dispositivi creati dalla propria educazione, che porta a farsi complici od oppositori. Tra l’altro Federica Manzon riesce a gettare una luce obliqua anche sulle spinte che a volte contribuiscono a decidere i montaggi dei reportage di guerra e sul ruolo che nelle scelte può giocare un ego sempre più esposto alle lusinghe della visibilità.
Drammatico nella consapevolezza che l’odio covato e abilmente indirizzato dai potenti non cessa di far alzare barriere su fronti opposti, il romanzo sposta il racconto della guerra nell’ex Jugoslavia dal di là, dove il tema è già stato splendidamente affrontato, al confine dove di là e di qua si sovrappongono.
Ma la prospettiva da cui si muove Alma, che si trova in una posizione marginale rispetto agli eventi e dunque aperta a cogliere anche le minime suggestioni, apre spiazzanti pause analitiche sulle disposizioni mentali che portano eserciti e organizzazioni paramilitari, nonché i singoli, ad agire con spietata determinazione, ponendo interrogativi sul significato di tutte le guerre, comprese le attuali. E sulla vitalità di una cultura che, nonostante tutto, potrebbe avere la forza di trasformare i vinti di oggi nei vincitori di domani.
Alma s’interroga dunque su cosa possa produrre la forza devastante di un’idea di identità esclusiva, fino a chiedersi se sia giusto dare peso al passato, se questo porta inevitabilmente a rimuginare sui torti subiti. Non più col padre, ma con Vili, che tutto invece sapeva, torna sull’isola dove erano stati entrambi da bambini, e dove, per la gloria del Maresciallo, indossavano la divisa di giovani pionieri di Jugoslavia, il paese del padre che non c’è più, come l’Austria-Ungheria dei nonni. L’eredità paterna, consegnatale da Vili nel giorno della Pasqua ortodossa, forse l’aiuterà a comprendere chi è lei e a scegliere come e dove vivere l’incerto oggi e l’oscuro domani.
Il romanzo “Alma” verrà presentato oggi, venerdì, alle 18, con Anna Piuzzi, alla Libreria Moderna di Udine.
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