In quota dov’è proibito cadere: Giorgio Daidola racconta l’arte dello sci alpinismo

L’autore ha realizzato centinaia di interviste spostandosi con il suo camper attraverso le Alpi. Inizialmente era un’attività per pochi, dalla seconda metà del Novecento ha attirato un pubblico via via maggiore

Melania Lunazzi
In alto, Luciano De Crignis sul Monte Canin nel 1966
In alto, Luciano De Crignis sul Monte Canin nel 1966

Disegnare linee effimere su fazzoletti bianchissimi sospesi tra pareti vertiginose: una ricerca di libertà di espressione portata avanti con ai piedi due sci da un numero sempre più alto di amanti delle montagne d’inverno. Un’attività sportiva nella natura praticata inizialmente da pochissimi visionari ma che dalla seconda metà del Novecento, con l’evoluzione delle attrezzature e l’aumentare delle conoscenze, ha avuto progressivamente sempre più interpreti.

Ora un volume di trecentocinquanta pagine e di grande formato, scritto da un autorevole conoscitore delle montagne bianche e del viaggio con gli sci ai piedi, il piemontese Giorgio Daidola, già autore di diversi libri sull’argomento, raccoglie i più significativi esponenti e praticanti di quest’arte libera, rischiosa e sublime che è lo sci ripido/estremo sulle montagne di tutto il mondo.

No fall lines (letteralmente “linee dove è vietato cadere”) pubblicato ai primi di maggio da Mulatero Editore (351 pagine, 39 euro) è un’ampia ricognizione che ha impegnato Daidola per più di tre anni, con un risultato che sicuramente renderà il libro una pietra miliare su questa attività, sia per gli addetti ai lavori, si per chi la neve la ama in una dimensione più contemplativa o da modesto praticante.

Più volte ospite nella nostra regione per raccontare storie di sciatori e di viaggi, professore fino al marzo 2025 all’Università di Trento, ma soprattutto grande appassionato di telemark, Giorgio Daidola ha realizzato centinaia di interviste spostandosi con il suo camper attraverso le Alpi per incontrare i protagonisti ancora in vita, dagli sciatori più maturi a quelli più giovani, realizzando un volume che offre anche accurati apparati di consultazione (indici analitici preziosissimi dei nomi, ma anche bibliografia, articoli, filmografia e “sitografia”) in quello che è un dedalo fittissimo di montagne e sciatori/ sciatrici di tutto il globo.

E naturalmente affronta i ritratti di coloro che non ci sono più, che hanno fatto grande la storia di quest’arte funambolica, in una galleria arricchita da foto meravigliose di ambienti estremi. Alla base della scrittura palpita una sincera passione, che viene trasmessa al lettore, così come il desiderio di restituire le diverse filosofie e stili di vita che i vari sci-alpinisti hanno portato avanti con originalità. Ci sono diverse donne, e va dato atto a Daidola di averle integrate nel contesto cronologicamente, senza relegarle, come spesso si è fatto nelle storie dell’alpinismo, in ghettizzate sezioni in “rosa”.

In questa grande storia, perlopiù sconosciuta al grande pubblico, spiccano anche tre protagonisti della nostra regione: il triestino Mauro Rumez, pioniere dello sci ripido tra le Giulie e nel mondo, prematuramente scomparso sotto una valanga sull’Ortles; il carnico Luciano De Crignis, autore di numerose discese ardite e che è anche maestro di sci e guida alpina a Ravascletto (ma anche per molti anni allo Stelvio) dove ha formato centinaia di sciatori, e il giovane goriziano Enrico Mosetti, anch’egli guida alpina e protagonista di numerose prime discese riconosciute internazionalmente.

Con loro sono menzionati tra le righe altri due corregionali, il moggese Mario Di Gallo e naturalmente il tarvisiano Luca Vuerich, da tutti amato. 

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