«Il Petrolio di Pasolini a teatro contro chi spegne la società»

UDINE. “La ramificazione del pidocchio” titolo enigmatico, ma non troppo, per un accadimento teatrale che affonda la sua necessità nella figura e nel pensiero, intesi soprattutto come stimolo come urgenza, di Pier Paolo Pasolini.
È la nuova sfida di ricci&forte, per “Viva Pasolini!”, il progetto di produzione del Css, in scena al San Giorgio di Udine da stasera al 22 dicembre.
Derivato da uno dei molti frammenti che compongono “Petrolio”, il romanzo incompiuto e postumo di Pasolini, forse il suo testamento piú autentico e misterioso e tutto ancora da decifrare, il titolo del nuovo lavoro di ricci&forte allude all’espandersi silenzioso, sottocutaneo, quasi inavvertibile, ma mortalmente inesorabile dell’infezione causata dal pidocchio: immagine con la quale il poeta di Casarsa alludeva all’inesorabile imbarbarimento della società italiana, al genocidio antropologico di un paese che stava sacrificando valori e tradizioni e autenticità sull’altare del consumismo e dell’omologazione.
“La ramificazione del pidocchio”, uno spettacolo “site specific” per soli 20 spettatori a recita, è, come ci dice Stefano Ricci, «un primo approccio a Pasolini, prima di approdare nel prossimo gennaio a uno spettacolo, “Ultimo inventario prima della liquidazione”, dove ragioneremo sulla missione di Pasolini, sul suo essere stato soprattutto un artista capace di rapportarsi alla realtà e studiarne le trasformazioni, cambiando anche di volta in volta gli strumenti».
«Non volevamo trattare, tra virgolette, un aspetto di Pasolini, metterne in scena un testo, la riduzione di un film o di un romanzo, quanto capire come, attraverso le diverse forme di comunicazione, lui ha raccontato di una società che si stava trasformando, degenerando in quella cultura di massa che ha cambiato il gusto collettivo. Cercare cioè di rifarsi a lui per chiederci come ci si pone oggi di fronte a una società che ha continuato la sua china irreversibile».
Teatro quindi, e ancora una volta, come una forma di resistenza all’ottundimento omologante della tv e dei nuovi social, «che parte proprio, pensiamo, dalla riflessione sul rapporto tra Pasolini, intellettuale/uomo di cultura/poeta, con la società del suo tempo e come condividerlo col pubblico. Rendere omaggio a Pasolini per noi significa mettere una luce ancora piú vivida su quello che ha significato e su quello che significa ancora oggi resistere attraverso la cultura e la poesia a una società livellante».
Veniamo allo spettacolo. «Abbiamo immaginato una squadra di sei performers, di fronte a venti spettatori a recita, che in trenta minuti raccontano un’esistenza già andata, scintille, tracce di un passato da mettere in relazione con quanto e come è cambiato il nostro stare al mondo oggi, nell’induzione dei bisogni come nell’abbassamento del gusto e della sensibilità...
Cercare a fronte del pidocchio che continua a deporre le uova, un sistema di disinfezione, un farsi carico del valore dell’esistenza, reagire a una sedazione generale e sistemare un poco il tiro per i giorni che ci restano».
Ma oggi una nuova classe politica, giovane punta proprio a questo, a cambiare rotta, verso... O no?
«Non sono fiducioso in questo paese e nemmeno in questa classe politica che mi sembra ricalchi pur apparentemente con passi diversi il cha cha cha delle classi politiche precedenti».
Che fare allora?
«Continuare, per quanto ci riguarda come uomini di teatro, a costruire momenti di riflessione, emozioni e suggestioni, perché il pubblico, e lo vediamo ogni volta che andiamo in scena, anche nei teatri piú tradizionali, ha voglia di rimettersi in discussione, di farsi sorprendere. E questo ci riporta a Pasolini al bisogno di risveglio che lui auspicava».
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