«Il mio teatro da Faber a Cecov per fermare la violenza verbale»

Mario Brandolin
Chi ha ammirato e apprezzato Giulio Casale cantautore, raffinato e poetico esploratore dell’animo umano oltre che critico puntuale del contesto civile; chi ne ha amato le personalissime e intense incursioni nel repertorio di Giorgio Gaber, o condiviso il suo ripercorrere l’epopea beat, o ancora l’avrà sentito duettare con Andrea Scanzi sulla nostra povera Italia, e sull’eredità musicale e lirica di Faber, Fabrizio De Andrè, non si stupirà a vederlo stasera, sabato 16 marzo, al Teatro della Corte di Osoppo vestire i panni degli affaccendati e isterici borghesucci di alcuni tra i più feroci e comici atti unici di Anton Cecov.
Eh sì, perché Giulio Casale, artista e intellettuale a tutto tondo, non si è sottratto alla proposta della Compagnia Stregatti di Alessandria che lo voleva per “Lampi”, titolo che assomma i quattro copioni cecoviani, ossia “La domanda di matrimonio”, “I danni del tabacco”, “L’orso” e “Tragico Controvoglia”.
“Lampi”, a dire la facilità con cui si passa dal bon ton borghese agli scoppi d’ira e agli insulti più grevi. «Mi hanno corteggiato – racconta con una punta autoironica di civetteria Casale – e così, eccomi a fare l’attore puro; che è per me una assoluta novità. E con un signor autore, come Cecov, che sa costruire meccanismi teatrali perfetti, acrobatici anche, attorno a temi universali quali la relazione tra i sessi, la paura della solitudine, il vuoto valoriale e la perdita di senso delle nostre esistenze, spesso contrassegnate da scelte inspiegabilmente irrazionali».
A far da collegamento tra un atto e l’altro, delle canzoni. «Infatti, usiamo delle canzoni, classiche e senza tempo, da Endrigo a Piero Ciampi, che eseguiamo tutti e tre, perché oltre a me in scena ci sono Giusy Barone e Alberto Basaluzzo. Canzoni che sono momento di cesura e raccordo tra un racconto e l’altro, ma che servono anche a sostenere i cambi di scena e di costumi, tutti a vista, a sottolineare in modo discreto ma dichiarato il lavoro del teatro, della messa in scena».
Qualche tempo fa era piuttosto incavolato col mondo dello spettacolo. Oggi? «Mah, non posso lamentarmi, è un momento della mia vita in cui non mi manca nulla, perché continuo a fare, e me lo chiedono spesso, i recital su Gaber, in particolare quei “Polli di allevamento”, di cui ricorre quest’anno il quarantesimo; c’è questo Cecov, e poi concerti promozionali del mio ultimo cd “Inexorable”; in più quest’estate farò un monologo scritto da me, tratto da “Le notti bianche” di Dostoevskij: insomma sta girando bene, con una bella gratificazione d’autore, oltre che di performer».
Ma il Giulio Casale dallo sguardo d’artista sul mondo, arrabbiato e critico? «Continuo a essere in assoluta minoranza, a battermi per un orizzonte diverso in quest’epoca piuttosto brutale. Se parliamo poi dell’attualità più stretta, a esempio, direi che non mi piace questo sdoganamento della violenza verbale tra le persone e la sostituzione, in ogni contesto possibile, del contenuto con gli slogan. Quando la complessità è la caratteristica principale dell’essere umano, comprese le paure, le fragilità: ecco continuo a credere in proposte che rilancino un umanesimo possibile, anche se oggi sempre più minoritario». —
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