Il Friuli nel bicentenario dell’Infinito di Leopardi: è dei Colloredo Mels la villa-museo di Recanati

Nel 2019 si celebrano i 200 anni dalla stesura de “L'Infinito”, forse la più amata e di sicuro la più letta delle poesie di Giacomo Leopardi: e nell’omaggio che Recanati rivolge a questo capolavoro c’è anche un po’ di Friuli. Fino al 19 maggio 2019 il manoscritto originale del poema sarà infatti esposto a Villa Colloredo Mels, dimora gentilizia della famiglia friulana che fu imparentata con il poeta e che per tre secoli ha intrecciato i propri destini con le Marche.
Già nel primo’700 infatti i Colloredo si erano stabiliti qui. Pioniere dell’insediamento fu Rodolfo Colloredo, capostipite del ramo marchigiano, che prima ancora dei titoli di conte del Sacro Romano Impero (acquisito nel 1724) e Signore di Colloredo, Mels e ville annesse, ottenuto nel 1726 dopo la morte del fratello maggiore Girolamo, aveva ottenuto feudi nello Stato Pontificio sposando nel 1702 la contessa Delia Maria Silvestri di Cingoli.
Determinante per queste nozze fu Fabio, l’altro fratello maggiore, prelato che diventerà poi arcivescovo di Lucca: i suoi buoni uffici fecero nominare Rodolfo Principe dell’Accademia degli Arditi di Cingoli e membro dei Gonfalonieri di quella città nel 1709.
Forse fu la riconoscenza per il fratello a far sì che il primogenito di Rodolfo e Delia fosse chiamato proprio Fabio. E fu proprio lui che, nato nel 1705, fece incontrare la casata dei Colloredo con quella degli Antici, la famiglia della madre di Giacomo Leopardi, recanatese doc. Sposò infatti nel 1728 la contessa Teresa Flamini-Antici diventando proprietario del palazzo di Recanati. Giusto per capire il blasone della famiglia, nipote di Teresa fu il cardinale Tommaso Antici che fu tra i plenipotenziari della corte papale prima dell’avvento di Napoleone, e tornò a Recanati in quiescenza, morendo nel 1812.
La speranza recondita di Monaldo Leopardi era che il figlio Giacomo, che lo “studio matto e disperatissimo” aveva reso un fenomeno di erudizione, calcasse proprio le orme di questo potente congiunto: ma già a 20 anni, mentre i genitori favoleggiavano di un Giacomo Papa, lui abbracciava un ateismo materialista di assoluta cupezza che sarebbe poi approdato al pessimismo cosmico. «Al sacro fonte s'impose al neonato il nome di Giacomo», scrive tuttavia Monaldo ai parenti di Udine e Colloredo annunciando la nascita del primogenito.
Del “giovane favoloso” sappiamo tutto. Ma dei Colloredo e di questo palazzo che si sa? La villa nel ‘700 fungeva da centro amministrativo dei 700 ettari di possedimenti dei Colloredo nelle Marche e delle proprietà dislocate in vari comuni dell’Italia centrale.
Solo nel Recanatese i nobili friulani avevano 240 ettari divisi in 28 colonie tenute a mezzadria. Tuttora si possono visitare le vaste cantine dove un tempo si metteva a frutto il raccolto delle vigne, mentre oggi vi è ospitato uno dei più grandi scriptorium d’Europa. Verso il lato posteriore dell'edificio si apre il parco, a più piani. Una zona di esso era un tempo destinata a cimitero degli ebrei: nessun altra casata era disposta a ospitarlo, ma i cosmopoliti Colloredo sì.
Il ramo marchigiano della famiglia si estinse, ironia della sorte, con un omonimo del capostipite: un altro Rodolfo Colloredo che morì a Recanati il 9 luglio 1961. Il fondo archivistico di famiglia fu in parte donato alla Pontificia amministrazione della Santa Casa di Loreto e poi acquisito sul mercato dall’Amministrazione archivistica italiana per destinarlo all’Archivio di Stato di Udine.
Il Comune di Recanati acquistò invece la villa e avviò i lavori di restauro, completati solo per il bicentenario della nascita di Leopardi nel 1998. Invece Colloredo scelse di donare a Udine l’altro suo più grande tesoro: una delle più grandi raccolte numismatiche d’Italia, che lui aveva ereditato dal nonno e aveva portato avanti spendendo molti dei suoi averi per riuscire a superare in qualità e quantità la più grande raccolta di monete italiane medievali e moderne mai messa assieme, quella del re d’Italia Vittorio Emanuele III stava completando nello stesso periodo.
La collezione Colloredo Mels, ricca di quasi diciottomila pezzi, può essere considerata una delle migliori raccolte italiane, forse la terza tra le raccolte private entrate in musei pubblici, dopo quella del re a Roma, e quella del Papadopoli a Venezia.
Grazie all’amicizia con Carlo Cosmi, mercante di monete e collaboratore dei Civici musei di Udine, l’intera raccolta fu donata a questa istituzione. Nel 1974, però. ben 936 monete d’oro di questa raccolta sono state rubate nel corso di una rapina a mano armata, i cui responsabili non sono mai stati individuati.
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