Guzzanti: contesto l’involuzione italiana non solo il Cavaliere

La regista e attrice stasera al Balducci con “La trattativa”. «La cultura in Italia la gestisce chi governa, non è libera»

LUCIANO SANTIN. Il tentativo di tenere fuori dai circuiti l’ultimo lavoro di Sabina Guzzanti, scomodo come quelli che l’hanno preceduto, sembrava riuscito.

Invece “La trattativa”, film presentato fuori concorso alla 71ª Mostra del cinema di Venezia, ha conosciuto una reviviscenza nata dal basso.

Gruppi e associazioni ne stanno organizzando una serie capillare di proiezioni un po’ dovunque; in quattro mesi e mezzo le repliche sono state circa quattrocentocinquanta, e il fenomeno non dà segni di stanchezza.

Il film sarà presentato questa sera alle 20.30 nella sala dibattiti del Centro Balducci di Zugliano, su invito di don Pierluigi Di Piazza.

Seguirà un dibattito cui prenderà parte la regista e interprete assieme al direttore delle rivista “Antimafia 2000”, Giorgio Bongiovanni.

Un chiarimento, innanzitutto: per trattativa non si intendono solo le concessioni strappate dai mafiosi...

No, anche il fatto che le stragi anni ’90 sono state utilizzate quali strumenti di pressione, oltre che dalla criminalità organizzata, anche da una serie di soggetti eversivi - inclusa la massoneria e parte dei servizi segreti - che hanno trovato un vasto appoggio ai vertici delle istituzioni.

L’Italia è una repubblica fondata su... Lei dà una lettura estrema?

Se lasciamo che della Costituzione si occupi Berlusconi, è facile che venga riscritta cosí. Il punto è che non dovrebbe farlo lui, e neanche partecipare, dopo le cose che sono state scoperte a suo carico.

Berlusconi è sempre stato il suo bersaglio principe...

Questo è un pregiudizio che mi viene appiccicato addosso senza guardare al mio lavoro. Ho fatto discorsi molto piú complessi che non quello di individuare in Berlusconi il colpevole di tutto. “Viva Zapatero” e “Draquila” non sono film su Berlusconi, parlano della veloce involuzione democratica del Paese, di cui Berlusconi è protagonista, ma non da solo.

Ci sono anche gli elettori. La mentalità da clientes, l’immobilismo gattopardesco, il motto longanesiano "tengo famiglia"...

Non è un fatto genetico, è costume. Quindi questione eminentemente culturale. La cultura è gestita da chi governa, non è libera, specie da noi, dove i media, in primis la tv, hanno contribuito a diffondere, rafforzare, nobilitare un certo tipo di mentalità.

Tornando alla tesi del film: non è che l’enfasi posta sul terrorismo dell’Isis sia un sequel?

Il terrorismo è sempre finanziato e manipolato anche dai servizi segreti, il che implica volontà politiche non espresse in modo democratico ed esplicito, ma gestite sotterraneamente. Ci sono sempre state, e hanno avuto sempre lo scopo di condizionare la politica per portare avanti interessi economici particolari contrari al bene pubblico.

Tornando a “La trattativa”: perché l’ha realizzato?

Un film lo si fa per tante ragioni, a partire da quelle artistiche: mi è parso che ne potesse venir fuori un lavoro interessante. E poi, certo, ho pensato che poteva costituire un importante strumento riflessione, che mancava.

Dice che, in queste straordinaria fioritura di proiezioni autogestite, l'hanno visto in piú di 60 mila spettatori. L’un per mille degli italiani...

Viviamo in una società che punta tutto sul mercato, dove valgono soltanto i numeri. In realtà c'è una sopravvalutazione: il successo di un film lo fanno l'impatto, la capacità di cambiare linguaggio e punto di vista. Ci sono film che hanno raggiunto un numero enorme spettatori, senza incidere minimamente. Quello che conta è lasciare un segno.

Un'ultima cosa: c'è l'hastag #latrattativacontinua#, che può esser letto in due modi: come sostegno al film, o come denuncia del fatto che certi meccanismi perdurano. L’interpretazione asseverata qual è?

Che c’è appunto una doppia chiave di lettura. Quando si fa un gioco di parole non è che una deve essere piú esatta dell’altra.

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