Giorgio con il mito di Che Guevara: «Ecco perchè ogni anno lo ricordo con un necrologio»

San Giorgio di Nogaro,  così Coianiz ogni 9 ottobre. «Da 31 anni ci ritroviamo fra amici che credono in questi valori più attuali che mai»

SAN GIORGIO DI NOGARO. Il “Che” non come icona, ma come eroe che la lasciato grandi valori che, oggi più che mai vanno riscoperti. A dirlo Giorgio Coianiz, ricercatore storico legato ai valori della Resistenza e di grande schiettezza, che assieme a un gruppo di amici da 31 anni ogni 9 ottobre fa pubblicare sul Messaggero Veneto il necrologio per la morte di Ernesto Guevara, da tutti conosciuto come il “Che”.

L'anniversario della morte del "Che" ricordata da un gruppo di nostalgici con un necrologio


Perché nasce il necrologio del Che ?

«Nel 1988 ho deciso con una decina di amici di pubblicare un necrologio sul giornale. Al tempo il ricordo del Che (morto nel 1967) era ancora ben presente nella generazione del ’68. Nel 1993 eravamo una settantina presenti il 9 di ottobre.

Romantici da tutto il mondo per ricordare Che Guevara

Poi, lentamente, il numero si è ridotto: agli inizi del 2000 eravamo rimasti in pochi. Ma, anche da solo, ho deciso di continuare questo ricordo al generoso rivoluzionario. A oggi siamo sempre tra i 40 e 50 amici che, assieme a molti altri, ci incontriamo anche nel parco a lui dedicato per la porchetta annuale. Sono presenti amici da tutt’Italia e dall’estero».

Che senso ha ancora questo ricordo ?

«Tutti conoscono la storia e il sacrificio del Che. Tutti sanno della sua impari lotta per un utopico riscatto delle classi sociali oppresse, sfruttate e sterminate in ogni parte del mondo e del suo incredibile tentativo di innalzare le coscienze più che impianti industriali sognando la rinascita della dignità dell’uomo.

Il 9 ottobre 1967 il sergente boliviano Mario Teran uccideva con due raffiche Ernesto Guevara. Alla fine di luglio del 2006 un soldato boliviano entrò nella redazione del “Deber”, quotidiano di Santa Cruz, chiedendo di pubblicare una nota di ringraziamento ai medici cubani che, in duemila, operavano gratuitamente ancora i poveri del Paese e che avevano restituito la vista anche a suo padre. Come si chiama suo padre, chiese il redattore “ Mario Teran”, rispose il soldato e sparì. L’assassino del “Che” tornava, dopo quarant’anni, dai cubani che aveva sconfitto.

Ora, con i nuovi cristallini agli occhi, sparì di nuovo, ma certamente il suo esempio di carnefice, beneficiato dalle sue vittime, rimane prova straordinaria che il sacrificio del Che non è stato vano. Guevara combatteva contro la finanza mondiale che, anche attualmente, è fermamente convinta che il sistema può funzionare e guadagnare senza un servizio sanitario, senza pensioni, senza diritti civili, senza democrazia, tutti elementi che rappresentano intralci e costi impropri da tagliare.

Quest’anno abbiamo discusso di come la povertà in Italia sia causata maggiormente dalla politiche neolibertiste degli Usa, che prima hanno costretto con l’embargo Cuba alla “libreta” (specie di tessera annonaria) e ora, anche se nessuno vuole dirlo, ha costretto noi al reddito di cittadinanza. Lui lottava contro l’ingiustizia, questo è quello che ci ha lasciato e che è più che mai attuale».

Perché il parco?

«Di ritorno da un viaggio a Cuba nel 1986 mi trovavo nella disponibilità dell’ultimo campo di famiglia. Allora pensai di creare un parco-bosco comprendente una trentina di specie di alberi autoctoni per farli conoscere a bambini e ragazzi delle scuole di San Giorgio. Nacque il parco del Che».

Cosa rimane del Che oggi nel mondo ?

«Il cuore e le ragioni del Che sono rappresentati dalle donne curde, costrette con il mitra in mano a difendere la propria terra e la propria emancipazione dall'invasione dei turchi aiutati dagli americani».

Il suo pensiero sul Che.

«Guccini, anni fa, cantava “...da qualche parte un giorno, dove non si saprà, dove non l’aspettate, il Che ritornerà”».
 

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