«Gavrilo Princip e gli altri, in Serbia sono eroi nazionali»

Intervista a Vera Vujcic, nipote di un affiliato alla Mano Nera: domenica l’incontro sul fatale attentato

GORIZIA. Vera Vujcic, serba, matematica insigne, nipote di Veliko Cubrilovic, uomo della Mano Nera coinvolto nell’attentato di Sarajevo, sarà domenica a èStoria in Tenda Erodoto, alle 16. La abbiamo intervistata.

Quali ricordi conserva dei membri della sua famiglia che parteciparono all’attentato di Sarajevo?

«Mia madre, Nada Cubrilovic Kovacevic (1913-2012), era l’unica figlia di Jovanka e Veljko Cubrilovic. Erano due giovani insegnanti del villaggio di Priboj sul monte Majevica, vicino al confine con la Serbia. Nel giugno del 1914 Veljko aiutò gli studenti Gavrilo Princip e Trifko Grabez – arrivati dalla Serbia con le armi e ben decisi ad assassinare Francesco Ferdinando – a raggiungere il suo amico Misko Jovanovic a Tuzla, e poi Danilo Ilic a Sarajevo. Al processo tenuto a Sarajevo, Veljko, Misko e Danilo vennero condannati a morte e il 3 febbraio 1915 furono giustiziati. Gavrilo, Trifko e altri undici cospiratori, fra i quali il fratello di Veljko, Vaso, vennero condannati al carcere. Soltanto cinque sopravvissero, per essere poi liberati come eroi nel 1918. Io sono cresciuta in casa di mia nonna Jovanka, morta nel 1969. Fu testimone del periodo turbolento che precedette e seguì il giugno del 1914. Da lei ho imparato a comprendere lo stato d’animo della gioventù bosniaca dell’epoca. Veljko e Jovanka, assieme a molti altri, erano idealisti, pronti a sacrificare la vita per la libertà e l’unità nazionale. Sono stata molto vicina a Vaso, il fratello di Veljko. Era uno storico importante, membro dell’Accademia Serba delle Scienze e delle Arti. Al processo di Sarajevo dichiarò di essere un serbo-croato. Credeva fermamente che la Jugoslavia sarebbe sopravvissuta a tutte le tensioni e le pressioni. Morì nel 1990, una anno prima della guerra civile e della disintegrazione».

Come sono percepiti oggi in Serbia Gavrilo Princip e i membri della Mano Nera?

«Princip è considerato un eroe, che si opponeva all’occupazione della sua patria. Apparteneva al movimento della Giovane Bosnia, che propugnava la liberazione e l’unificazione di tutti i popoli slavi meridionali. Non esistono prove che fosse un affiliato della Mano Nera, una società segreta militare fondata in Serbia nel 1901 da membri dell’esercito serbo. Dopo la prima guerra mondiale, Princip e tutti i cospiratori morti nelle prigioni austriache sono stati dichiarati “Eroi di Vidovdan”, e sepolti nella cappella del cimitero serbo-ortodosso di Sarajevo».

È il centenario della Grande Guerra. Quali sono i sentimenti in Serbia?

«L’ultimatum austro-ungarico minacciava la sovranità dello Stato serbo, e pertanto era inaccettabile. La Serbia è orgogliosa del suo ruolo in qulla guerra, in cui si oppose alla politica espansionista, la Drang nach Osten. Contro l’aggressore austro-ungarico, nel 1914, ottenne grandi vittorie in battaglia sui fiumi Drina e Kolubara; nel 1918 sconfisse la Bulgaria sul fronte di Salonicco e diede un contributo decisivo all’unificazione degli slavi meridionali. I sacrifici della Serbia furono enormi: perse nel conflietto il 28 per cento della sua popolazione e quasi il 50 per cento dei suoi soldati».

Dalla prima alla seconda guerra mondiale, fino ai conflitti dei recenti anni Novanta. Cosa resta della Jugoslavia?

«L’idea di uno stato unico per tutti gli slavi del Sud nacque e si sviluppò per tutto il XIX e agli inizi del XX secolo. Le più grandi menti di tutte le nazioni slave del Sud appoggiarono quest’idea, inclusi gli scrittori Krleza, Andric e Selimovic. Nella seconda guerra mondiale la Jugoslavia venne invasa dalle potenze dell’Asse, ma per tutta la durata del conflitto furono attivi forti movimenti di resistenza partigiana. Dopo la guerra risorse con il nome di Repubblica Popolare Federale di Jugoslavia. In seguito alla caduta del Muro di Berlino, le grandi potenze un tempo alleate della Jugoslavia cambiarono politica, cominciando a sostenerne la disintegrazione. Oggigiorno, invece della Jugoslavia, abbiamo sei piccoli Stati, e il concetto di Jugoslavia è politicamente morto. Ciononostante lo spirito culturale jugoslavo è sopravvissuto, e chissà che cosa succederà in futuro».

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