Del Din, la biografia di una super donna

Oggi alla Feltrinelli il libro di Andrea Romoli sulla Medaglia d’Oro al valor militare
A guardarla di sfuggita, la signora Paola Del Din potrebbe sembrare una tranquilla signora. Insegnante, moglie e madre in una vita giunta alla novantaquattresima ora. Una casa piena di ricordi, la schiena un po’ dolorante, una compagnia piacevole portatrice di grandi insegnamenti. Basta poco però, e quei suoi piccoli occhi cerulei rivelano un’esistenza fuori dall’ordinario. Perché la storia di Paola Del Din è quella di una patriota militante della brigata Osoppo, Medaglia d’Oro al valor militare, unica donna ad averla ricevuta per comportamento in azione. Poco più che ventenne, trasportava documenti segreti attraverso l’Italia occupata in missione per gli Alleati. Arruolata e addestrata dalle Forze speciali inglesi, diventava la prima donna paracadutista militare italiana e forse l’unica ad aver compiuto un lancio in guerra.


Una testimonianza lasciata in silenzio per settant’anni e che finalmente si esplica in un libro. «Se fosse stato per me non l’avrei scritto – ha raccontato con la solita sincerità –, volevo solo riprendermi la mia vita per viverla pienamente nel presente, senza restare prigioniera del passato e di quel dolore».


La penna del giornalista Andrea Romoli e la affettuosa furbizia di quattro figlie hanno fatto nascere il volume “Il diritto di parlare” – edito da Gaspari e con la prefazione del Ministro della Difesa Roberta Pinotti – che sarà presentato stasera alla Feltrinelli di Udine alle 18. «Sono ancora qui pronta a brontolare». L’esordio della signora Del Din si apre a un confronto generazionale con chi vi scrive: «Quando avevo ventitré anni ero da poco tornata in Friuli, dopo quel viaggio incredibile, e continuavo ad aiutare mio padre per costruire un’Italia migliore, anche dopo la guerra». Di quell’avventura parla ancora con lo stesso coraggio e la spregiudicatezza di allora: «La missione era inviare al comando alleato al Sud un rapporto per valutare la possibilità di uno sbarco nell’alto Adriatico, un’azione che avrebbe potuto far terminare la guerra entro pochi mesi».


E di una giovinezza spesa al servizio del movimento della resistenza antifascista e patriottica prima e a contrastare i pericoli dei nuovi nemici della Guerra fredda poi quei mesi da Udine a Firenze per poi finire da Roma ai campi di addestramento di Monopoli sono la sintesi di un incredibile funambolismo di arguzia, fortuna e determinazione: «Dalla storia inventata per raggiungere il fronte, al viaggio in macchina con due membri delle SS sempre con quei documenti cuciti addosso e fino al guasto in volo sulla via di casa non ho mai avuto paura, perché ero sicura di ciò che facevo e sapevo che era giusto». Una voce forte, vera perché vissuta, un diritto di parola diventato dovere anche e soprattutto quando la memoria rischiava di essere insabbiata: «È la meschinità della gente il motivo per cui si vuole far dimenticare, ma la storia come la libertà non si possono cancellare. Dal canto mio io rifarei ogni scelta e correrei di nuovo ogni rischio, tutto per mantenere fede ai nostri principi, alla mia dignità, alla nostra Patria”.


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