Corona boccia i mega raduni rock: «Meglio Ughi con il suo Stradivari intagliato nell’abete di risonanza»

«Sono d’accordo con Messner e aggiungo: se si vuol far musica in posti belli ci vuole lo strumento adatto». Lo scrittore e alpinista Mauro Corona ha preso posizione nel corso di un’intervista rilasciata a Radio Capital sulla questione del concerto di Jovanotti a Plan de Corones. «Personalmente ho assistito ai concerti di Mario Brunello con piacere, ma certi musicisti è meglio che cantino negli stadi. Jovanotti mi è simpatico, ma sono contrario a queste operazioni commerciali e proprio non capisco gli amministratori locali che le accolgono».



Corona dice sì a Uto Ughi con il suo Stradivari del Settecento costruito con il legno dell’abete di risonanza: «Gli alberi direbbero: “Senti nostro fratello che canta”, ma la musica rock con i potenti altoparlanti che disturbano la quiete degli animali anche a lunghe distanze no, loro non possono sporgere denuncia per il rumore!». Per non parlare delle masse di giovani maleducati che questo tipo di iniziative attirano in termini di bottiglie e cicche abbandonate: «Per far conoscere e amare la montagna meglio insegnare a riconoscere le piante e i fiori».

La sua è una voce autorevole, da abitante della montagna 365 giorni l’anno, così come quella di Romano Benet, che domenica partirà per l’area del Kanchenjunga con la moglie Nives – lei preferisce non esprimersi sulla questione – e cerca di soppesare tutti gli elementi facendo un distinguo, come Corona, sul tipo di musica: classica sì, hard rock no. «Certo, quando Plan de Corones è stato tappa del Giro d’Italia è stato invaso da migliaia di persone per una durata e con un impatto superiori a quelli di un concerto come questo. E poi in inverno quel luogo raggiunge anche 70 mila passaggi sugli impianti di risalita». Dunque Plan de Corones è un’area già fortemente sfruttata e antropizzata, sembra dire Benet, così come le Dolomiti. E non è un esempio virtuoso da seguire.

Calare questo genere di iniziative sui contesti delle nostre montagne, come i Piani del Montasio, la conca del Rifugio Gilberti sotto il Monte Canin o i Laghi di Fusine forse non è la strada giusta per il turismo: «È vero che gli animali si spaventano, basti pensare all’effetto dei botti di Capodanno in città: bassi che risuonano attraverso gli amplificatori e centinaia di persone presenti non fanno certamente bene a ecosistemi già fragili». Cosa fa bene al turismo di montagna allora? «Certo tutti sono contenti di avere gente in montagna: anche io che sono un commerciante. Ma bisogna promuovere un turismo consapevole, non solo come nel paese dei balocchi. Nelle Giulie siamo ancor in tempo per farlo: mi dispiacerebbe diventassimo come le Dolomiti».

C’è un effettivo pericolo di prendere la china sbagliata, quella apparentemente più semplice come una pista già spianata. «Sì, se si continua a investire su queste cose. Si sa che il turismo può salvare la montagna, ma la strada praticata è la più breve e inefficace: portare i divertimenti delle città in montagna. Un po’ come accade in Himalaya: basta pagare e ti portano sull’Everest. Certo, tutti hanno uguali diritti, ma non con tutti i mezzi». E allora ecco l’esempio della Slovenia, dove i luoghi belli e molto richiesti anche dai cittadini che non vogliono fare fatica sono serviti con criterio e senza bisogno di divieti e ticket: «In Slovenia chiudono le strade, ma le servono molto bene con le navette fin dalle 5 del mattino, così anche chi vuole andare ad arrampicare in Val Vrata è ben servito, senza doversi sobbarcare lunghi avvicinamenti a piedi. Ma noi saremmo in grado di attuarlo e soprattutto di farlo funzionare in un luogo come Fusine ad esempio?».

Riproduzione riservata © Messaggero Veneto