C’era una volta Big John: approda nelle sale la storia del dinosauro

Il restauro a Trieste del più grande scheletro di triceratopo. Produzione udinese (Agherose) diretta da Dorino Minigutti

Cristina Savi

È la storia del restauro di “Big John”, il più grande scheletro di triceratopo mai scoperto al mondo – il solo cranio misura tre metri per due! – ritrovato nel 2014 negli Usa, nel South Dakota, riassemblato a Trieste nel laboratorio Zoic e battuto all’asta a Parigi nel 2022 per la cifra record di oltre 6 milioni e mezzo di euro, quella narrata nel documentario dal titolo “Big John”, appunto, diretto dall’udinese Dorino Minigutti e dal triestino Davide Ludovisi.

In proiezione oggi a Cinemazero di Pordenone alle 21 e domani al Visionario di Udine alle 20, alla presenza degli autori, prodotto dall’udinese Agherose con Agent Double (Belgio), con il supporto di Fondo per l’audiovisivo del Fvg, Fvg FilmCommission, ministero della cultura e il fondo canadese The Art of Documentary Development Fund, è anche il racconto di una lotta contro il tempo: quella condotta da Flavio Bacchia, titolare della piccola azienda familiare Zoic e il suo staff, una volta entrati in possesso delle ossa del colossale dinosauro di oltre 65 milioni di anni. Perché sapevano che avevano davanti a loro solo pochi mesi per riparare l’immenso scheletro destinato a un’asta internazionale, l’unica occasione per poterlo vendere (e dove infatti sarebbe stato acquistato da un filantropo di origine indiana). Sullo sfondo del documentario, un mondo che incrocia paleontologia, arte e la dimostrazione che in Europa, ma non solo, si sta sviluppando un vero e proprio esorbitante mercato per questo tipo di reperti.

Anche Minigutti e Ludovisi, dopo aver scoperto che l’azienda triestina si sarebbe cimentata nell’impresa “della vita”, hanno deciso di accettare la sfida. «Quando Ludovisi mi ha contattato dicendo che stavano arrivando le casse con le ossa dagli Stati Uniti – racconta Minigutti – sulle prime ho realizzato che si trattava di un argomento a me del tutto ignoto (in genere mi occupo di temi sociali), ma poi ho indossato il cappello del produttore e ho pensato che il tema era talmente originale da meritare attenzione. E poi mi piaceva idea della lotta contro il tempo».

Minigutti rivela di essere colpito dalla cura e dell’amore con il quale la piccola azienda artigiana si è occupata del dinosauro, «come fosse un bambino» e di essersi reso pienamente conto della precisione e della maestria con cui il lavoro è stato realizzato qualche mese fa. «Ero a Berlino, nel Museo di storia naturale e guardando da vicino un triceratopo ma anche dei T-rex ci si accorgeva se un osso era l’originale o meno. In Big John, invece, non si notano differenze, e pensare che almeno il 40 per cento dello scheletro è stato ricostruito». L’altro aspetto che lo ha sorpreso «è il business che c’è attorno a questi scheletri, il fatto che negli Usa costituiscano delle forme di investimento, mentre in Europa c’è un approccio più filantropico».

Per la cronaca, Big John da qualche mese si trova in Florida. Il proprietario lo ha prestato a scopo benefico al Glazer Children Museum di Tampa Bay: per rimontare lo scheletro è stato richiamato il team della Zoic e si sono resi necessari dieci giorni di lavoro.

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