Braschi è il miglior giovane Dalla tv di MasterChef alla realtà

IL COLLOQUIO
Il segno della sua vorace passione per la cucina Valerio Braschi se lo porta addosso: una cicatrice sul labbro superiore. Se l’è procurata a 3 anni leccando la crema da un frullatore. Con le lame, quelle di un taglierino di plastica inizialmente, ha poi preso confidenza sul finire delle elementari: «Adoravo tagliare le verdure, mi rilassava. I miei genitori, sapendolo, me le lasciavano da affettare sul tavolo in giardino e nei pomeriggi liberi mi ci tuffavo. È stato il mio primo approccio da cuoco».
Oggi Braschi ha 23 anni, alle spalle una vittoria di MasterChef con record (era appena maggiorenne, il più giovane nella storia del programma) e nel presente “Ristorante 1978”, il locale romano di cui dal novembre 2019, in uno dei momenti più bui per la ristorazione, è chef e co-proprietario. Nella cucina a vista da cui non si allontana mai crea piatti sperimentali e talvolta discussi, come “Lasagna 2021”, con cui ha conquistato il pubblico. E la critica: la Guida dell’Espresso I ristoranti e i vini d’Italia lo ha nominato “Giovane dell’anno” (premio Frantoio di Sant’Agata di Oneglia) dando due cappelli al suo locale: «Siamo davvero contenti, tutti ambiscono a questo premio».
Parla sempre al plurale, riferendosi alla sua brigata. «Piccolina ma con grandi responsabilità - sorride -: siamo io, il mio sous-chef e il lavapiatti». Tutti pronti a ripartire domani grazie al via libera (che scatta oggi) ai locali al chiuso: «Non vediamo l’ora - dice questo romagnolo doc con entusiasmo coinvolgente - ci siamo rotti le scatole di stare fermi».
In questi due anni s’è inventato piatti come la “Carbonara distillata”(«Ha il sapore della pasta ma l’aspetto di un bicchiere d’acqua») e la “Lasagna 2021”, cucinata in modo tradizionale ma poi ridotta in poltiglia e racchiusa in un tubetto simile a quello di un dentifricio. Il tutto servito con uno spazzolino di pasta all’uovo e un collutorio di brodo di Parmigiano. Questo per ricordarsi di quando, «dopo le feste, prima di lavare i denti aprivo il frigo e addentavo le lasagne».
Tenace, instancabile, genuino, Braschi esprime in cucina un lato nascosto di sé, «la mia parte raffinata. Nella vita invece sono un ragazzo come tanti, per cui esistono la famiglia, gli amici e il basket. Ah, e le serie tv». Verrebbe da immaginare uno dei tanti titoli di oggi. E invece no, la serie del cuore è Colombo. «La mandano in onda la domenica quando io lavoro e allora mio papà la registra e ce la guardiamo il lunedì alle 21 in punto, in pigiama. L’altra che adoro è Detective Monk». Al punto che, racconta, «ho comprato online due foto autografate di Colombo e Monk e le ho messe nella cucina del “1978”. Sono i miei due santini». Il lavoro, per lui, richiede abnegazione. «Sono mancato solo un giorno perché ero in tv. Per il resto mai, nemmeno quella volta che ho passato una notte d’inferno per colpa di un’ostrica. C’è chi dice che questo lavoro ti toglie la vita ma non sono d’accordo. Ero consapevole dell’impegno che mi avrebbe richiesto». A Roma abita vicino al ristorante ed è reperibile «24 ore su 24» mentre quando non lavora torna a vivere con i genitori nella sua Santarcangelo di Romagna.
Sogna «di fare il cuoco per sempre» e si definisce «un autodidatta che ha fatto della propria passione un mestiere». Il menu che proporrà da domani si chiama “Mirai Valerio” (tradotto dal giapponese, Valerio del futuro): «Prima giocavamo ma con qualche freno, qui ci siamo tolti tutti i limiti. Il piatto più complesso è “Xango, foie gras, rana pescatrice”, il più innovativo l’“Orecchio di coniglio”». Nessun interesse per i piatti vegetariani? «Li faccio con piacere se me li chiedono ma non ubbidisco alle tendenze, porto in tavola il mio ideale di cucina». Mentre a casa prepara papà e lui mangia in modo semplice, «soprattutto ora che devo perdere 15 kg, al ristorante voglio stupire. Amo la tradizione ma anche la sperimentazione e sono fermamente convinto che la trattoria e il ristorante complesso debbano coesistere. Proporre qualcosa di diverso è l’ambizione che avrò sempre».—
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