Aristofane e l’eterna lotta fra democrazia e oligarchia
Al Teatro Nuovo la prima lectio del grecista Canfora da un’idea di Giuseppe Laterza Aristofane e il comizio ante litteram sui diritti civili nel conflitto tra Atene e Sparta

Udine 22 ottobre 2017 Teatro Nuovo Giovanni da Udine Lezioni di storia con il prof Canfora. Copyright Foto Petrussi / Ferraro Simone
Aristofane, fra teatro e politica. A partire dall’Acropoli di Atene, ovvero come il teatro, o meglio un autore comico poté entrare nella diatriba politica che agitava Atene all’epoca delle guerre del Peloponneso (431-404 a.C.) e quale fu il suo ruolo nel crollo della democrazia e la nascita di un potere oligarchico, dopo la resa di Atene a Sparta. Con un intervento approfondito e circostanziato attorno alla figura di Aristofane e della sua produzione teatrale, il professor Luciano Canfora ha aperto ieri mattina davanti alla platea gremita del Giovanni da Udine il ciclo delle sei lezioni de “La Storia nell’Arte” organizzate dell’editore Laterza con la Fondazione del Teatro Nuovo, sponsor Solari e con la media partnership del Messaggero Veneto. Nel corso della sua conferenza Canfora ha evidenziato pericoli e ambiguità spesso sottesi al rapporto tra potere e democrazia. Partendo dal fatto storico che il teatro nella Grecia del V secolo era il luogo cui convergevano tutti i cittadini, che invece non affollavano in modo così massiccio l’assemblea popolare, ovverossia il demo, dove invece conveniva la minoranza politicizzata della popolazione, l’insigne grecista ha spiegato come nelle commedie di Aristofane in generale, ma soprattutto ne “Le rane”, l’appartenenza politica dell’autore, il suo schierarsi a favore di una delle fazioni in lotta sul proseguire o meno della guerra fosse dichiarato e manifesto. Questo perché nell’Atene democratica del V secolo era il teatro il vero luogo in cui si parlava alla città, qui si aveva l’opportunità di far giungere il proprio pensiero a moltissime persone, e il proprio dissenso, compito affidato quest’ultimo soprattutto alla commedia. Infatti la struttura drammaturgia stessa della commedia prevedeva nella “parabasi” (una sorta di intermezzo nello sviluppo dell’azione scenica in cui il corifeo si rivolgeva direttamente agli spettatori della prima fila, solitamente i maggiorenti della città), che il coro, smessi gli abiti di scena, si facesse interprete di un discorso genericamente politico, il più delle volte legato all’attualità, anche con racconti e argomentazioni che nulla avevano a che fare con la trama. Nella parabasi de “Le rane”, però, Aristofane va oltre e ci fa assistere a un vero e proprio comizio politico, un’invettiva bruciante contro Cleofonte, uno strenuo difensore dei diritti politici e della stessa democrazia, una sorta di garantista e oltranzista ante litteram: l’ultimo leader democratico che si ostinava a rifiutare le clausole di pace, opponendosi di fatto alle mire degli aristocratici per un regime oligarchico, come poi avvenne. Aristofane, che pure era di origini umili, stava con costoro, e nella “parabasi” de “Le rane” si fa agitatore politico, e, presentandosi abilmente come difensore del popolo, arriva ad anticipare addirittura la condanna a morte di Cleofonte, accusato di tradimento, anche a costo di sovvertire le regole sin lì in uso in Atene. Dirà infatti: «Cleofonte deve morire, anche se la votazione in tribunale finirà in parità». Ricostruendo, documenti alla mano, i fatti della Storia così platealmente annunciati nella commedia, Canfora, la cui narrazione della Storia non è mai disgiunta da una lettura socio-politica, ha descritto così quei meccanismi più o meno sporchi più o meno leciti di comunicazione di giochi e accordi, che così spesso nel corso della storia e anche nell’attualità del nostro tempo hanno sotteso e sottendono l’accadere della politica.
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