Aiello, la “piccola Vienna” che si risvegliò italiana

UDINE. La “Piccola Vienna” andò a dormire austriaca e si svegliò italiana. Tutto accadde in una notte, cosí finirono quattro secoli di dominio asburgico su un’ampia parte di Friuli (chiamato appunto imperiale) le cui vicende sono poco conosciute.
Solamente adesso, un secolo dopo, si alza il velo attraverso ricerche storiche, diari e memoriali che rispuntano dalle soffitte e che intelligenti editori e istituti culturali stampano.
Al centro di tutto c’era appunto Aiello, detta la “Piccola Vienna”, per l’eleganza delle ville, per la vezzosità del paesaggio e per il rango acquisito come primo avamposto austriaco dopo il confine, visto che l’Italia cominciava a Palmanova.
Le zone di confine traevano vantaggi da traffici e commerci e anche dalla necessità di presentare un biglietto da visita d’effetto a chi veniva dall’'estero. Aiello fu questo fino a quel 24 maggio 1915 quando il mondo si capovolse nel giro di poche ore.
Allora le notizie viaggiavano lentamente, ma nell’aria c’era la sensazione d’un tragico imminente ribaltone. Fu una notte agitata, la gente era preoccupata. Alle 5 e mezza si sentirono due formidabili scoppi, erano i ponti del Torre e dell’Isonzo fatti saltare dagli austriaci che avevano preparato un piano astuto.
Entrata in guerra l’Italia, le sue truppe trovarono terreno facile da Aiello in poi, fino ai rilievi carsici sopra Monfalcone dove erano state preparate le vere difese e dove il conflitto si impantanò in un devastante confronto che durò per due anni e mezzo obbligando un milione di ragazzi, dall’una e dall’altra parte, a scannarsi in quei pochi chilometri quadrati brulli e ostici, pagando costi immani.
Sul Carso, durante le undici battaglie dell’Isonzo, perse la vita mezzo milione di uomini tra ufficiali e soldati, età media 24-25 anni. Una folle carneficina che non può essere dimenticata oppure ingabbiata dentro celebrazioni retoriche o rievocazioni militaresche.
Gli slanci, le disillusioni, le sofferenze vanno raccontati, in particolare nel caso di questa gente sul confine che affrontò prove allucinanti, sballottata sotto l’uno o l’altro padrone, in una incertezza totale sul proprio destino.
Piccoli personaggi alle dipendenze di capi potenti che passavano sulle loro auto, fra nuvole di polvere, e ai quali il terribile “gioco” della guerra era sfuggito di mano.
A raccontare cosa accadde nella “Piccola Vienna”, divenuta osservatorio importante, trovandosi nelle retrovie del fronte, è un diario ritrovato e adesso pubblicato.
Venne scritto da Guido de Savorgnani, classe 1883, figlio di una famiglia di commercianti, che ebbe una fortuna: arruolato dagli austriaci, venne riformato a causa di un’otite e rispedito a casa per alcuni mesi in convalescenza. In quel periodo scoppiò la guerra per cui lui non si mosse piú, si nascose e dalla soffitta cominciò a scrivere giorno dopo giorno quanto vedeva accadere in paese.
Per questo motivo il libro, a cura di Paolo Malni e Adriana Miceu, stampato dal Centro Gasparini di Gradisca d’Isonzo, si intitola “Una finestra sulla guerra” evocando il famoso film di Hitchcock “La finestra sul cortile” nel quale si vede il protagonista, l’attore James Stewart, seguire le vicende dei vicini nei loro appartamenti senza poter intervenire.
E infatti de Savorgnani registra, in quel fatidico 24 maggio, orari e passaggi di truppe e ogni cosa avvenga in strada commentando: «Tutta la giornata durò questo grandioso spettacolo, che non sembrava realtà, ma una scena cinematografica».
Documenti cosí interessanti appaiono adesso per volontà della famiglia de Savorgnani, in particolare le nipoti Aurelia e Nicoletta, fornendo un racconto che sarà illustrato venerdí 5 dicembre, alle 20.45, in sala Civica ad Aiello, su iniziativa del circolo Navarca.
Un tema importante riguarda i sentimenti divisi della gente di fronte a quegli eventi. Arrivano le avanguardie italiane, abbattono i simboli austriaci, gettano dalla finestra il quadro di Francesco Giuseppe e della famiglia imperiale e gli aiellesi vi assistono in silenzio.
Sono di lingua e cultura italiana, ma per quattro secoli sono stati austriaci, hanno i loro figli arruolati in quell’esercito, mandati al fronte in Galizia, e fino al giorno prima hanno sentito un’altra propaganda, un’altra campana. E adesso, come dice de Savorgnani, «calma e dignitosa la popolazione osserva queste scene mentre molti distribuiscono sigarette ai soldati italiani».
Un militare chiede allegro: «Quanto dista Trieste? Fra 4-5 giorni ci siamo e vi resteremo». Il racconto narra anche la morte del primo italiano, un fante che cade da un carro, e poi gli arresti e l’internamento di chi era ritenuto “austriacante”, a cominciare dal parroco don Giuseppe Calligaris.
Intanto c’è chi si adatta al volo, come sempre, e comincia a confezionare e a vendere bandiere tricolori. Poi un giorno, su un’auto grigia, passa il re Vittorio Emanuele III, con macchina fotografica in mano.
Ma Aiello è tutta un passaggio: transitano fino a 14 mila soldati al giorno diretti verso il Carso, e poi prigionieri austriaci, feriti, disertori perché lí c’è anche un tribunale di guerra, profughi dalla Bisiacaria. E poi ci sono i bagliori e i bombardamenti sul fronte, che dista una decina di chilometri.
Il diario si interrompe nel marzo del 1917 con una frase lapidaria: «I giornali scrivono molto d’una prossima Strafexpedition. Basta, chi vivrà vedrà». Non arriva dunque a Caporetto e al momentaneo ritorno degli austriaci nella “Piccola Vienna”, di nuovo tale per un anno. Fino al 4 novembre 1918. Poi si cambia ancora.
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