Agosto 1944, nasce la Repubblica della Carnia: un angolo di libertà dentro la marea nera

La Zona libera fu la prima esperienza di questo tipo nell’Italia occupata. In ottobre la terribile repressione nazifascista
La foto dei "Partigiani in Carnia" esposta alla mostra "Le radici del futuro. La Repubblica partigiana della Carnia e dell'Alto Friuli" al Museo Carnico delle Arti Popolari "Michele Gortani" di Tolmezzo.
La foto dei "Partigiani in Carnia" esposta alla mostra "Le radici del futuro. La Repubblica partigiana della Carnia e dell'Alto Friuli" al Museo Carnico delle Arti Popolari "Michele Gortani" di Tolmezzo.

Quando raccontò le storie di Lisuta, Ivan, Chila e Givi, Leonardo Zanier le ambientò al tempo in cui esisteva “una Carnia come mai (e come forse mai più) era esistita”. E poi spiegava: “Quella Carnia aveva dei confini, un esercito, un governo, una magistratura e, nel mezzo della marea nera che aveva sommerso l'Europa e rischiava di sommergere il mondo (anche se contenuta e pressata tutt'intorno), spuntavano solo il Cervino, il nostro monte Coglians e poco altro.

L’ulteriore e ancora più alta e violentissima marea che le venne scatenata contro non bastò a sommergere il Coglians mentre i carnici sono ancora lì, anche se molti sono emigrati”. Parole che il poeta di Maranzanis dedicò alla sua terra e al 1944 quando lui aveva 9 anni e nacque la Repubblica partigiana della Carnia e dell’Alto Friuli, Zona libera istituita nella fase più tragica della guerra, nell’agosto di 75 anni fa, precedendo di poche settimane la Repubblica dell’Ossola.

Nel libro di racconti su quei giorni (intitolato “Carnia, Kosakenland, Kazackajazemlja”, con postfazione di Mario Rigoni Stern), Leo Zanier spiegava così quei mesi: “I partigiani, scontro dopo scontro, erano riusciti a fiaccare le difese dei repubblichini, a disarmare carabinieri, guardie di finanza e di frontiera (che non chiedevano di meglio), a installare un governo civile ad Ampezzo, a convocare libere elezioni (in Italia non accadeva da più di vent'anni e per la prima volta votarono le donne), a riaprire le scuole, a definire un sistema fiscale proporzionale, a nominare i giudici di pace, ad abolire la pena di morte”. Fu, quella carnica, la prima terra italiana libera e democratica dopo il regime mussoliniano.

La Repubblica prese vita il primo agosto 1944 e fu preceduta dalle convocazioni dei rappresentanti di ogni Comune, che nei loro paesi costituirono poi i rispettivi Comitati di liberazione.

L’11 agosto i tre Comitati di vallata (Alto Tagliamento, Degano e But) diedero vita al Cln carnico mentre il 26 settembre venne costituito il governo della Zona libera, ma una situazione del genere non poteva essere tollerata in una regione annessa al Terzo Reich. I comandi superiori tedeschi, d’accordo con il commissario supremo, il gauleiter Rainer, trasformarono così la Carnia in Kosakenland e trasferirono un’armata cosacca con famiglie al seguito promettendo una nuova terra promessa. Illusione che, a cominciare dal capo, l’atamano Krasnov, costò loro carissimo portandoli alla catastrofe. In questo modo i tedeschi volevano risolvere tre problemi: eliminare i partigiani, collocare in qualche modo gli scomodi alleati del Don e rendere sicure le comunicazioni con l'Austria.

La Repubblica libera cessò di esistere l’8 ottobre, ma nonostante abbia avuto vita breve, in pratica una sola estate, rappresenta ancora oggi, a 75 anni di distanza, una pagina di storia straordinaria, da studiare e su cui riflettere, soprattutto in Carnia e dintorni, per valutarla in modo approfondito su molti aspetti, al di là delle discussioni ideologiche che simili argomenti comportano.

Fu prima di tutto la più ampia zona liberata dai partigiani nel Nord Italia. Si estendeva per 2580 chilometri quadrati, comprendendo 41 comuni e oltre 80 mila abitanti. Pur operando in condizioni estreme, cercò di promuovere i primi tentativi di vita democratica dando voce a tutti i partiti politici e garantendo libertà di stampa, riunione e associazione per consentire le elezioni delle giunte comunali popolari, da metà agosto a settembre. Le riunioni erano aperte e vi partecipava l'intera comunità.

In questo clima sociale e politico inedito giunsero in Carnia personalità di primo piano della Resistenza friulana, come Mario Lizzero, commissario delle Brigate Garibaldi, don Aldo Moretti, esponente dell'Osoppo e della Dc, Gino Beltrame, del Pci, Nino Del Bianco, del Partito d'azione, Manlio Gardi, del Pli, che agirono accanto a esponenti locali, come i socialisti Giovanni Cleva e Dino Candotti, Ciro e Luigi Nigris, il leggendario Romano Marchetti dell'Osoppo.

L’8 ottobre scattò il grande rastrellamento (l’operazione Waldlauder) per stroncare la Zona libera. Contro i ventimila uomini schierati da tedeschi, cosacchi e fascisti, i partigiani potevano contare su 5 mila uomini, male armati. E 300 vennero uccisi. La Carnia dovette rinunciare al suo sogno democratico e affrontare un inverno lungo, durissimo, tra stragi e rancori mai finiti.

In occasione d’una mostra allestita nel 2004 ad Ampezzo, Leo Zanier disse: “A tanti decenni da allora, non dobbiamo perdere il senso della storia, di quella storia, contro ogni revisionismo dove si vorrebbe che tutte le scelte si equivalgono. Come se lottare per la libertà o per perpetuare il nazifascismo fossero atti equivalenti di civiltà. Direbbe allora mia nonna: ma che il folc su traia! Che il fulmine vi annienti!”.
 

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