Addio a Bourdain, lo chef controcorrente

Morto suicida a 61 anni lo chef di fama internazionale stella dei programmi tv. Il legame con Asia Argento. Diceva: «Rischierò sempre, non ho nulla da perdere». Un esploratore del gusto tutto charme e sregolatezza
FILE - This Sept. 15, 2013 file photo shows Anthony Bourdain at the 2013 Primetime Creative Arts Emmy Awards Governors Ball in Los Angeles. Bourdain, Ina Garten, and Martha Stewart remain the names to beat in food broadcasting. For a second year running, the three dominated the top tier of television awards by the James Beard Foundation, winning for the same shows in the same categories as in 2014. (Photo by Richard Shotwell/Invision/ANSA/AP, File)
FILE - This Sept. 15, 2013 file photo shows Anthony Bourdain at the 2013 Primetime Creative Arts Emmy Awards Governors Ball in Los Angeles. Bourdain, Ina Garten, and Martha Stewart remain the names to beat in food broadcasting. For a second year running, the three dominated the top tier of television awards by the James Beard Foundation, winning for the same shows in the same categories as in 2014. (Photo by Richard Shotwell/Invision/ANSA/AP, File)

Lo chef di fama internazionale, Anthony Bourdain, si è suicidato. Aveva 61 anni. Si trovava in Francia per un episodio del programma tv che conduceva sulla Cnn.

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Se una Clerici qualsiasi l’avesse chiamato per fargli soffriggere una polpetta aromatizzata in un reality show italiano, Anthony Bourdain, che con una ex moglie e una fidanzata nostrana la nostra lingua certamente la masticava bene, si sarebbe cortesemente informato su quale fosse il miglior epiteto con cui prendere le distanze dall’orrido fornello televisivo.

Bourdain, che la vita spericolata l’ha avuta tutta, ha deciso di andarsene da un albergo di Strasburgo, scelta un po’ provinciale, se vogliamo, per uno che ha passato la vita a percorrere palmo a palmo gli anfratti più esotici del mondo per scoprire e mangiare (i testicoli di un caprone erano stati una delle sue peggiori esperienze, ebbe a dire) non in contesti scintillanti, ma essenzialmente on the street, dove il cibo è cultura e testimonianza dei valori dei luoghi in cui viene realizzato.

Dalle nostre parti lo si sarebbe inserito nella short list dei più prestigiosi chef stellati, ma Anthony Bourdain era molto di più.



Uno scrittore forse ancor prima che cuoco, un viaggiatore compulsivo più che scrittore e cuoco, un esploratore del gusto e irraggiungibile comunicatore tanto da accaparrarsi la conduzione dei più prestigiosi programmi televisivi americani dedicati a quell’inestricabile mondo che circonda e accompagna il cibo a tutte le latitudini.

Ma non si pensi che il fidanzato di Asia Argento, la #metoo made in Italy che quanto a provocazioni e vita sconsiderata non gli era da meno, detestasse i ristoranti patinatissimi di New York.

Era stato chef di quella delizia che era la Brasserie Les Halles di Park Avenue, da poco definitivamente chiusa, tutta boiserie e cuoio profumato, dove anche l’indimenticabile Philip Roth si fermava di tanto in tanto per un uovo à la coque in atmosfera francese.

Anthony Bourdain, il cuoco dei cuochi, il cantore delle vivande che si preparano nei vicoli del mondo (a Roma aveva trovato un localino dove fare scorpacciate di fettuccine fresche e a Torino un altro ristorantino fuori mano con la cuoca che prepara una sorta di agnolotti direttamente al tavolo dell’avventore) è stato un prolifico narratore della sua vita e non guasterebbe un tour tra le pagine dei suoi numerosi libri alcuni dei quali editi in Italia da Feltrinelli.

Da quelli, e non dalle cronache adulanti del New Yorker o di Vanity Fair, si scoprirebbe come in gioventù (ci ha lasciati a soli 61 anni e la sua giovinezza in realtà non è mai finita) avesse avuto una certa propensione per droghe di ogni genere, dalla cocaina all’eroina passando dalla cannabis e i funghi che, il talento era già evidente anche nelle fasi di più ardita trasgressione, mescolava al miele per addolcire il tè, probabilmente non verde visto il suo disprezzo, mai nascosto, per vegani e vegetariani che catalogava tra i nuovi insopportabili snob.

«Mai mangiare l’insalata dove preparano bistecche», ha scritto, e c’è da credergli che le verdure affumicate possano essere la tomba del gusto.

Ma i suoi libri sono dei viaggi on the road pieni di arguzia dove intercala pillole di saggezza gastronomica a scicchissimi aneddoti di una vita che solo lui ha potuto vivere grazie al suo charme ed essere genio e sregolatezza in un mondo che adora un liberal che detestava Trump («è una pazzoide che mangia il cibo di McDonald») e che si è battuto contro gli abusi sessuali nelle cucine tra mestoli e casseruole (pare, a suo dire, che i cuochi siano persino più arrappati dei produttori hollywodiani, ed è tutto dire).

Per tutta la vita ha fumato due pacchetti di sigarette al giorno (con il tabacco il nostro defunto eroe si faceva anche le tisane) e non si è mai sottratto, a qualsiasi ora del giorno o della notte, davanti a qualsivoglia bottiglia di buon vino.

Ha amato, cucinato, assaggiato, viaggiato, tutto con la voracità di chi non riesce a essere mai sazio.

Ha scritto: «In quanto cuoco, gusto e odorato sono i miei sensi più importanti (my memories), e ne sto cercando di nuovi. Per questo ho lasciato New York sperando di trovare qualche punto di non ritorno nel mondo. Sto cercando esperienze ed emozioni estreme. Proverò qualsiasi cosa. Rischierò tutto. Non ho niente da perdere».

E così che la sua vita se ne è andata in un albergo francese. A trovarlo, ebbro della sua ultima tragica esperienza, il celebrity chef Eric Ripet.


 

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