Acciaio, vetro e fede: il memoriale sorge dov’era San Martino

Si costruisce la struttura votiva che ricorderà la tragedia Stilizzata, rivivrà l’antica chiesa. E tornerà la vecchia campana

Vajont, 54 anni dopo sui luoghi della memoria

«Il Vajont è una parola che dovrebbe evocare silenzio e rispetto. Invece lo si usa spesso a sproposito, per lucro e spettacolo. La campana della chiesa di San Martino che oggi viene ricostruita è un vero simbolo perché tornerà a suonare dopo 54 anni di silenzio, alcuni dei quali trascorsi in fondo al lago». Mauro Corona era uno dei tanti ertani che domenica mattina si sono assiepati lungo l’ex statale 251 della Valcellina – Val di Zoldo, ai piedi della borgata di San Martino. Con queste parole lo scrittore e artista ha voluto salutare una svolta nella storia del disastro del Vajont: è stata infatti posata la prima pietra di un edificio votivo, distrutto dall’onda di fango la notte del 9 ottobre 1963 insieme a buona parte dell’omonima frazione.

 

L’architetto Carla Sacchi ha pensato a una struttura di acciaio e vetro che stilizzi nelle forme originarie la cappella, ma che ne faccia anche risaltare il distacco dei tempi. Per motivi di sicurezza idrogeologica non si è potuto usare altri materiali edili. «Sono però convinta che la chiesa renderà giustizia a quella da cui trae spunto perché nasce dopo 15 anni di lavoro qui sul campo, trascorsi ad ascoltare la gente della frazione e i superstiti», ha rievocato la Sacchi. Non appena sarà pronto, sul memoriale svetterà la campana dell’immobile originario: venne recuperata per caso nell’agosto del 1966, tre anni dopo la frana, da un operaio del paese che stava ripulendo dai detriti il greto del bacino idroelettrico. Sarebbe bastato davvero poco perché il fango la seppellisse interamente, disperdendola sul fondale.

 

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Il 9 ottobre 1963 metà di una montagna è precipitata nel lago della grande diga del Vajont. Un'enorme massa d'acqua ha superato la diga, la più alta e maestosa al mondo, cancellando letteralmente tutti i paesi intorno a Longarone

 

Il manufatto fu ripescato a chilometri di distanza dal luogo in cui era stato spazzato dalla furia dell’acqua. Durante la lucidatura emerse una data stampigliata nel metallo: 1533. «In realtà la chiesa è ben più antica e vi sono reperti archeologici che fanno pensare che la stessa sia stata eretta sopra le rovine di un’ara pagana preromanica», ha spiegato la bibliotecaria del paese Fulvia De Damiani. L’aneddoto della campana salvata dalla melma è stato più volte citato nei discorsi di rito, in una cerimonia composta, ma molto partecipata. «Si tratta dell’ultimo tassello che ancora manca per affidare il Vajont alla memoria storica e guardare nuovamente al futuro», ha detto il sindaco della valle, Fernando Carrara, ringraziando la Curia e i parrocchiani di Erto che per decenni non hanno mai smesso di credere nel progetto.

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I saluti della Regione sono giunti da parte di Riccardo Riccardi. «Abbiamo tutti molto da imparare da giornate come questa, che da una parte aiutano a non dimenticare le vittime e dall’altra testimoniano la tenacia della popolazione nel volersi ricostruire un futuro», ha affermato Riccardi. Tra qualche mese l’edificio sarà pronto e verrà celebrata la prima funzione religiosa. La Curia di Concordia–Pordenone era rappresentata dal delegato del Vescovo, don Simone Toffolon, che è pure responsabile dell’arte sacra della diocesi. Insieme a don Toffolon hanno benedetto il sito l’attuale parroco, don Eugenio Biscontin, e quello del post tragedia, don Matteo Pasut. È spettato proprio a quest’ultimo ripercorrere alcune tappe del delicatissimo iter burocratico, durato 54 anni tra continui bracci di ferro con Stato, Enel e Curia. «Rammento bene i viaggi a Belluno nello studio dell’avvocato Giacomo Corona, il coraggioso deputato ertano che a un certo punto si dimise dall’incarico per protestare contro i soprusi ai danni della gente del Vajont», ha detto il prete che cercò finanziamenti e risarcimenti persino a Roma.

La diga del Vajont ripresa dal drone


È seguita la deposizione di una pergamena in una delle poche piastrelle risparmiate dall’onda e l’avvio di una raccolta di fondi tra fedeli, emigranti e amanti della cultura per pagare gli arredi del futuro memoriale di San Martino.

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