Al Festival di Cannes con Cuba Gooding jr: un premio a Mister JP
L’attore di origine friulana Jean Pierre Xausa in un corto «Faccio un padre cattivo che spegne i sogni della figlia

Se Jean Pierre Xausa, ovvero Mister JP, fosse nato nel Settecento avrebbe senz’altro goduto dell’amicizia di Lord Brummel, uno dei primi a esaltare il “dandismo” come archetipo dell’eleganza. Mentre nell’Ottocento JP sarebbe stato, per Oscar Wilde, un solido riferimento italiano, così come nel Novecento per il Vate D’Annunzio, un eccentrico codificato. «A tal proposito il poeta obbligava gli albergatori a ricoprire i muri delle camere con una carta da parati damascata», svela JP.
È ormai cristallino il concetto: Xausa, nato a Ginevra da genitori veneto/friulani e con casa a Remanzacco da ventisei anni, è un dandy riconosciuto negli ambienti del fashion designer; dicono sia l’ultimo, fra l’altro.
Ma ciò che da pochissimo ha fatto schizzare la popolarità del nostro stravagante amico, è un docu/cortometraggio — “It’s Not Dark Yet”, di Rossano B. Maniscalchi — che in un concorso parallelo sulla Croisette di Cannes ha vinto il “Best International” per il miglior documentario del “Global Short Film Festival”, alla presenza di Cuba Gooding jr. E lui si è ritrovato co-protagonista quasi per caso.
«Da Pitti mi muovo con agilità — spiega il signore dai baffi assolutamente inediti e con una barba ben scolpita — creo, sdogano, cerco di configurare la moda con un piglio di classe e di unicità».
Aggiungiamo: un uomo che aggredisce la noia con l’estro. Ci può stare?
Senta Jean Pierre, lei è un sangue misto a quanto risulta dal primo check. C’è del friulano in lei? O domina il veneto? O la puntualità svizzera?
«Il Friuli mi ha accolto e adottato. La nonna era di Palazzolo dello Stella e il cerchio si chiude. Il babbo, invece, è di Caorle. Il cognome Xausa è tipicamente vicentino. Come vede mi porto a spasso una discreta miscellanea di etnie».
E cos’è che prevale di ciò nella sua vita?
«Sono una persona diligente e precisa e, con questa caratteristica, mi avvicino a Ginevra. Del friulano ho il senso del lavoro. Di attività ne ho sin troppe».
Nella sua biografia scrive di essere un meccanico e un geometra.
«Giusto. Studiai in Svizzera come mettere le mani nei motori e quando ci trasferimmo in Italia mi iscrissi alla scuola professionale. Ora lavoro in fabbrica. Quando timbro ed esco comincia il mio personale carosello».
Da quando “Mister JP” ha un copyright?
«Diciamo dal 2016. Sin da ragazzino la passione per la moda è stata travolgente e così, proprio in quell’anno, decisi di creare il personaggio approfittando della vittoria in un concorso di baffi e barba in Castello a Udine. Per dire: a quattordici anni scelsi uno smoking bianco per una serata, capisce?».
Perdoni la domanda irriverente: ma lei ha mai indossato una tuta?
«Eccome no. Ho anche dei jeans. Però l’abbinamento dev’essere perfetto».
Aggiunge la sua compagna Azzurra: «Con tuta nera lui indossa scarpa, cappellino e sciarpa bianca, ecco. Nulla è buttato lì a caso».
Lei disegna abiti, quindi?
«Il primo lo creai per il mio matrimonio e fu realizzato da un’azienda friulana, la quale mi chiese di produrre il modello. Durante un evento di barberia a Pitti uomo qualcuno notò il particolare outfit e i giornali esaltarono l’estrosa proposta. Diventai anni dopo una specie di testimonial e di promoter, insomma step by step ce l’ho fatta. Cerco di portare con me gli artigiani del made in Italy che, altrimenti, mai riuscirebbero a entrare. Da Pitti, intendo».
Se le dico Pupo?
«Lo stilista Massimo Vello e Pupo, appunto, gestiscono un brand di abbigliamento. Proprio Massimo mi invitò nel loro negozio di Portogruaro. Durante la visita la produzione cinematografica mi comunicò l’ufficialità della partenza del film per Cannes e Vello si offrì di ideare gli smoking per la serata. La tematica del lavoro di Maniscalco è un grido contro la violenza sulle donne, così Vello e Pupo ci hanno regalato la loro creatività per sostenere la lotta».
E come ci è finito dentro questo film?
«Un incontro casuale col regista a Firenze: lui stava girando a palazzo Strozzi e mi propose una scena. Alla fine Maniscalchi mi affidò il ruolo di co-protagonista: il padre cattivo che spegne i sogni della figlia. Vorrei infine e con orgoglio ricordare che alcuni elementi del vestiario esibito a Cannes sono friulani: come i bastoni, prodotti nel pordenonese, e le scarpe made in Gonars».
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