Vajont, la burocrazia blocca la ricerca delle vittime

ERTO E CASSO. In ballo c’è la sicurezza delle migliaia di turisti che ogni anno frequentano l’area del Vajont. Eppure la burocrazia rischia di bloccare un progetto di riqualificazione del sito della diga per il quale è già disponibile quasi mezzo milione di euro.
Prima di far partire i lavori, il Comune di Erto e Casso dovrebbe spendere almeno 80 mila euro per aggiornare le carte catastali della zona.
“Una follia priva di risvolti pratici a cui mi rifiuto di adempiere”, ha ora detto il sindaco Antonio Carrara, proponendo piuttosto di utilizzare quei fondi per riaprire a scopi scientifici una vecchia galleria stradale sommersa dai detriti del Vajont e all’interno della quale è quasi certo si trovino delle salme.
Di fatto dagli anni Cinquanta non sono mai stati formalmente espropriati i terreni su cui corre l’ex statale 251 della Valcellina-Val di Zoldo. Così che i relativi mappali e quelli attigui risultano ancora intestati a persone nate nell’Ottocento e ad altre sicuramente decedute, alcune delle quali proprio nella tragedia del 9 ottobre 1963.
«Ricostruire gli alberi genealogici di famiglie emigrate in Sud America e Canada dopo sessanta anni è praticamente un’assurdità – ha tuonato Carrara –. Significa perdere un’infinità di tempo e di soldi.
E per dire cosa? Per spedire una marea di raccomandate in giro per il mondo avvisando nipoti e bis nipoti che possiedono formalmente qualche centimetro quadrato di terra?
Tra l’altro esiste anche una difficoltà tecnica di non poco conto: come facciamo a definire “prati e boschi” questi lotti se in realtà gli stessi sono stati modificati dall’onda del Vajont e antropizzati da decenni?».
Ed è qui che il primo cittadino rilancia un’idea, caldeggiata tempo fa. Il sito su cui dovrebbe decollare il cantiere ostacolato dalla questione dei mancati espropri è stato completamente modificato dall’accumulo della frana del monte Toc.
In pochi minuti l’aspetto della valle è mutato radicalmente, riempiendo con milioni di metri cubi di roccia quello che poco prima era un profondo precipizio.
Ad una decina di metri di profondità dell’attuale percorso della 251 passa il precedente tracciato, usato negli anni Cinquanta come pista di cantiere per la diga e in seguito diventato strada statale per far fronte all’emergenza.
La montagna di ghiaia ha ostruito in pochi secondi anche gli imbocchi di un tunnel su cui transitavano i residenti per recarsi a Longarone.
«Basterebbero poche migliaia di euro per scavare dei pozzi di sondaggio all’altezza dei due accessi – ha affermato Carrara –. A quel punto delle sonde con microcamere verrebbero pilotate nel vecchio traforo e si potrebbe chiarire se ci siano i corpi di persone che stavano scappando dall’imminente sciagura.
Mi sembra un modo più intelligente e etico di spendere i soldi della collettività rispetto una serie di volture catastali fine a se stessa».
«È quasi sicuro che la galleria fosse attraversata da un’auto proveniente dal Bellunese proprio alle 22.39 del 9 ottobre 1963 – ha concluso il sindaco –. Il conducente era un ertano che rientrava dalla Germania e una ventina di minuti prima aveva telefonato alla famiglia da Longarone per annunciarle l’arrivo.
Il brutto è che all’agenzia regionale Fvg Strade non servirebbe molto per sistemare l’incartamento che ci impedisce di avviare le ruspe: la 251 è un’opera già esistente a differenza di quelle che dobbiamo realizzare oggi come oggi. La procedura di legge sarebbe semplificata se intervenisse Fvgstrade ma ci è già stato risposto di no».
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