Il ricordo del cronista: un boato sordo e poi l’acqua in piazza

Il racconto minuto per minuto dell’inviato del Messaggero Veneto. La devastazione di case e negozi, i morti nel fango, i soccorsi

2 settembre 1965 - 2 settembre 2015, cinquant'anni tondi. Da ricordare, anche come insegnamento perchè da quella duplice sfuriata della natura a Latisana (la replica arriverà puntuale un anno dopo, con conseguenze anche peggiori!) abbiamo imparato poco o niente... Già dopo la prima. “Telefono mentre l’acqua sale” riuscì a trasmettere il cronista la sera del 4 novembre 1966 asserragliato nel municipio latisanese, poco prima che le linee saltassero (furono ripristinate dopo quindici giorni).

Tempo di alluvioni, dunque, in Friuli, ma non solo, alla metà degli anni Sessanta. Sono le 21.30 del 2 settembre ’65 quando l’ondata di piena del Tagliamento tracima e allaga Latisana (già nel pomeriggio l’acqua premeva contro gli argini).

Le campane danno l'allarme e all’ora di cena la cittadina è semideserta. Gli abitanti si ritirano ai piani alti, manca la luce: è una notte d’incubo alla quale seguirà un’alba di desolazione. Abitazioni e campagne sommerse, due morti – un anziano a Crosere e un commerciante nel capoluogo – sono il bilancio dell’alluvione.

Arturo Manzano, primo inviato del Messaggero Veneto, dopo essersi destreggiato, tre anni prima col Vajont, la racconta in modo esemplare anche se a Latisana non ci si arriva e deve fermarsi a Palazzolo, dove fanno capo i soccorritori.

Chi arrivò (a piedi) a Latisana quella notte travagliata fu l’inviato del Gazzettino e prossimo direttore del Messaggeri Veneto Vittorino Meloni, che anni dopo raccontò il lungo giro, sfruttando salite e discese dei cantieri dell’autostrada in costruzione e uno dei ponti non ancora in funzione. «Con l’acqua a livelli preoccupanti. E in una mano tenevo strette le scarpe...».

Quella notte il Tagliamento straripa pure a Venzone, allagamenti si verificano un po’ in tutto il Friuli. Gravi le conseguenze a Lignano dove migliaia di turisti restano bloccati e si organizza un servizio di barche da Marano. La strada per il centro balneare, sommersa da un’enorme pozza tra Bevazzana e Pertegada, resterà chiusa a lungo, costringendo a deviazioni lungo gli argini e attraverso il traghetto di Bibione.

Un anno non è molto, ma neppure pochissimo. Si discute, si studiano progetti, ma di concreto per la sicurezza di Latisana non si fa niente.

Così il 4 novembre 1966 ci risiamo. In una situazione meteorologica eccezionale (due giorni di fitti nubifragi e lo scirocco che gonfia l’Adriatico contro la costa) matura la seconda alluvione, ben più grave di quella del ’65. L’allarme viene dall’idrometro di Venzone, dove il fiume alle 15 ha raggiunto metri 4,75 (l’anno prima il massimo era stato 4,37). A Latisana in quel momento è a 8,20, alle 18 sfiorerà gli 11 metri.

Quando arriviamo nella cittadina – il collega Lino Pilotti, il sottoscritto e il fotografo Enrico Pavonello – sono quasi le 16, il cielo è cupo e piove a tratti; c'è ancora gente sugli argini che guarda con apprensione quella massa d’acqua che scorre lenta e tumultuosa.

Già nella mattinata era stato dato l’ordine di sgomberare i pianterreni e i bar e i negozi avevano chiuso le serrande.

Alle 14, con l’aiuto dei militari, era cominciato lo sgombero totale, con destinazione i centri della Bassa, da Muzzana a Rivignano, a San Giorgio di Nogaro.

Alle 15.30 le campane a martello avevano rinnovato l'invito a sgomberare mentre l’estremo appello a mettersi in salvo è venuto dalle camionette con altoparlante delle forze dell’ordine, coordinate dal subcommissario prefettizio dottor Bracaglia.

Gli ultimi rimasti in una spettrale Latisana raggiungono il municipio in piazza Indipendenza per seguire “in diretta” l'arrivo dell’ondata ormai imminente (tra questi il sottoscritto, che ha salutato il collega Pilotti e il fotografo Pavonello rientrati a Udine). In quell’improvvisato quartier generale 24 persone affrontano quella che sarà una lunga notte, bloccate per 17 ore nel cuore dell’alluvione (con l’autore di queste note, ci sono: Bracaglia, il tenente dei carabinieri Quattrone, il consigliere provinciale e futuro onorevole Baracetti, il vicepretore Martinello, il segretario comunale Tavasani, il futuro sindaco Ravanello, l'inviato del Gazzettino Sergio Gervasutti, poliziotti e dipendenti comunali).

Verso le 19 primi cedimenti nell’argine a villa Gasperi; alle 19,30 il Tagliamento sfonda a Latisanotta e pochi minuti dopo una fiumana, preannunciata da un sordo boato, irrompe in piazza Indipendenza. In municipio manca la luce e con le pile si scruta l'acqua che scorre tumultuosa e devasta uffici e negozi sottostanti, facendo scoppiare vetrate e trascinando via porte, finestre e mobilio. Salta fuori una radiolina che trasmette tristi notizie (c'è l'alluvione anche in Carnia e nel Veneto, Firenze è devastata dall’Arno).

Verso le 21 saltano i telefoni (non c’erano ancora i cellulari!). Appena in tempo è riuscita la comunicazione con il Messaggero (il pezzo uscirà, ovviamente la mattina dopo, con un titolo (“Telefono mentre l’acqua sale”) quasi da “diretta tv”, che è rimasto negli annali della cronaca. Ma per fortuna la seconda ondata, prevista nella notte, non c’è stata.

Finalmente per i “reclusi” arriva l’alba e la disavventura si avvia alla fine. Con fame e sonno arretrati. Per la cena i 24 si erano arrangiati dividendosi il rancio (un discreto risotto) dei poliziotti, mentre per dormire (ma chi ha sonno in momenti simili?) non s’era trovato altro che qualche giornale da stendere sul pavimento.

La mattina del 5 novembre 1966 è livida, anche se non piove più e piazza Indipendenza è ancora un lago tumultuoso. Verso mezzogiorno arrivano i pompieri con i mezzi anfibi e distribuiscono stivaloni da pescatore per l’uscita di autorità, giornalisti e poliziotti.

Nei giorni successivi si fa un bilancio delle vittime. Quattro veronesi che tornavano da Gorizia hanno perso la vita travolti dalla piena a Latisanotta. In Carnia in un’auto finita nel torrente Degano sono morti il sindaco di Forni Avoltri, Riccardo Romanin, e tre suoi compaesani impegnati nei soccorsi (la vettura e le salme, sepolte dal fango, saranno recuperate solo dieci giorni dopo). Altre due vittime nello stesso paese e un annegato anche a Forni di Sopra.

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