I resti di cento soldati italiani caduti in Russia saranno accolti a Cargnacco

UDINE. Settantacinque anni fa, nel marzo del 1943, i resti dell’8ª armata dell’esercito italiano raggiunsero la città bielorussa di Gomel, ancora controllata dai tedeschi, da dove le tradotte militari poterono iniziare il rimpatrio dei superstiti.
Il calcolo delle perdite restituiscono la misura della disperata fuga per sfuggire all’annientamento: 97% dell’artiglieria, il 70% degli automezzi, l’80% del parco di muli e cavalli.
E spaventose furono anche le perdite umane: alla fine, dei 230 mila effettivi che avevano composto l’Armir, il corpo di spedizione in Russia voluto da Mussolini per affiancare Hitler nell’“operazione Barbarossa”, in 90 mila mancheranno all’appello. Un’intera città dissolta nel white out dell’inverno russo.
«La peggio l’hanno avuta gli alpini, che avrebbero dovuto essere impegnati sul fronte montano. Ma dal momento che l’avanzata non è giunta fino agli Urali, sono stati affiancati alla fanteria, pur non essendo equipaggiati e addestrati per la pianura», spiega Italo Cati, vicepresidente dell’Unirr, Unione nazionale italiana reduci di Russia.
I resti di cento soldati dell’Armir rientreranno a breve in Italia, per essere accolti a Cargnacco, dove riposa una parte consistente delle spoglie riportate in patria, ben 3 mila 608 su un totale di 11 mila 729.
Di 522 sono noti i nomi; se non sono stati riconsegnati alle famiglie è perché queste essendo friulane, hanno ritenuto preferibile una collocazione nel tempio ossario, ovvero perché di parenti prossimi non ce n’erano.
Dei restanti 3 mila e 86 si ignorano invece le generalità.
Anche i cento soldati dei cui resti mortali è atteso il rimpatrio sono tutti militi ignoti, tranne due.
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Uno è il trentino Lino Omezzoli, di Riva del Garda, partito con il 79° reggimento di fanteria “Roma”, poi ufficialmente disperso a Derezovka, nella zona del Don.
L’altro è il lombardo Giuseppe Moselli secondogenito di una famiglia di San Bassano, presso Cremona, un nucleo contadino dal quale si era staccato per arruolarsi nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale.
Nell’ultima lettera, datata dicembre 1942, denunciava, assieme al grande sconforto comune a tutti i soldati in ritirata, i primi sintomi di congelamento. Poi il silenzio, per tre quarti di secolo, sinché i suoi resti sono stati rinvenuti e identificati a Krasnogorovka, nell’attuale Ucraina.
Continua, così, il ritorno dei caduti in Russia, iniziato negli anni ’90, dopo la caduta del Muro di Berlino, per iniziativa del generale Benito Gavazza, con le prime traslazioni nel tempio fortemente voluto da don Carlo Caneva, ex cappellano degli alpini e parroco di Cargnacco.
«A occuparsi della parte tecnica e anche burocratica dei rimpatri è Onorcaduti», chiarisce Cati. «Noi siamo volontari e svolgiamo una funzione fiancheggiatrice, tenendo i contatti con le famiglie, fornendo loro informazioni, segnalando la zona in cui è più probabile che un soldato sia scomparso.
Esiste ancora un gran numero di fosse comuni e sia pure a distanza di tanti anni le ricerche continuano. Se ne occupano attivamente anche i russi».
I “Memoriali militari” – l’equivalente di Onorcaduti per l’ex Unione sovietica – hanno ricevuto, lo scorso anno, oltre centocinquanta richieste di informazioni dai familiari o discendenti dei dispersi. Ne riferisce, Rosalba Castelletti de La Repubblica, in una corrispondenza da Mosca.
Il vicedirettore Vassilij Tolochko spiega come, malgrado si siano succeduti i regimi e le generazioni, è ancora difficile convincere gli abitanti dei paesi ad accettare dei monumenti ai nemici che li avevano invasi tra il ’41 e il ’43.
Ed esibisce dodici piastrine militari rinvenute negli scavi, che saranno restituite all’Italia. «Purtroppo di piastrini se ne trovano anche su internet, nei siti specializzati. Ma in materia la sola competenza è quella dell’esercito», precisa Cati.
«Ci sono altre associazioni di volontari, estranee a noi, che credendo di far bene, pensano di restituirli alle famiglie. È un atto illegale, la proprietà dei piastrini è dello stato, indipendentemente dal tempo trascorso. Anche quelli della Grande Guerra, se ritrovati, devono essere restituiti a Onorcaduti».
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