"Dynasty" Bernardi, cadono tutte le accuse nella battaglia sull'eredità contesa

UDINE. Il capitolo “penale” della battaglia sull’eredità Bernardi si è chiuso con un’archiviazione. La moglie dell’imprenditore Riccardo Di Tommaso, Fiorella Conchione e i loro figli Diego e Silvia Di Tommaso non hanno quindi commesso alcun reato.
Il giudice Emanuele Lazzaro, così come il pubblico ministero, si è convinto del fatto che non c’è stato alcun falso nel momento in cui è stato redatto l’inventario dei beni dell’imprenditore friulano.
Non solo. Il giudice ha anche evidenziato come le indagini della Guardia di finanza non hanno trovato alcun riscontro circa l’esistenza del “tesoretto” che sarebbe stato nascosto alla madre della minorenne avuta da Di Tommaso al di fuori del matrimonio e subito riconosciuta.
«Il denaro “scudato” da Di Tommaso - scrive nell’ordinanza di archiviazione il giudice - era stato impiegato per l’apertura di tre polizze vita, (i cui premi milionari, ndr) sono stati regolarmente pagati in seguito al suo decesso ai figli Diego e Silvia e alla madre della minorenne».
È quello l’unico movimento di denaro scovato dagli investigatori. «E anche in quel caso - precisa il figlio Diego Di Tommaso - nostro padre ha voluto considerare allo stesso modo i suoi figli. Ha sempre manifestato apertamente questa sua volontà e le indagini hanno confermato che ha agito di conseguenza.
Per noi con questa sentenza si chiude un capitolo doloroso, ma sono contento che la giustizia abbia fatto il suo corso facendo emergere la verità dopo cinque anni di indagini. Ritrovarsi sul banco degli imputati non è stato piacevole, ma almeno è servito a fare chiarezza».
Per l’avvocato difensore Luca Ponti è arrivata una vittoria su tutta la linea, ma la vicenda sull’eredità Bernardi non è ancora chiusa come tiene a sottolineare anche il nuovo legale che tutela gli interessi della minorenne, Maurizio Miculan deciso a percorrere tutte le strade per fare in modo che «la figlia minorenne abbia quanto le spetta di diritto». Non è escluso quindi il ricorso in Cassazione, senza contare tutti gli altri “fronti” ancora aperti.
A inaugurare la saga legale è stata la richiesta di 15 milioni di euro avanzata nel 2011 dalla compagna di Di Tommaso (mancato il 24 gennaio 2010) sulla base di un documento in cui lo stesso “re dell’abbigliamento” avrebbe riconosciuto un debito milionario.
Dopo un sequestro preventivo milionario però il primo assalto è stato respinto dal tribunale che di fatto ha sposato la linea dei difensori Bruno Simeoni (per la Conchione) e Luca Ponti (per Diego e Silvia Di Tommaso) che hanno messo in discussione l’autenticità del documento e si sono chiesti quale attività possa aver svolto la donna per aver avuto diritto a una simile somma.
L’avvocato Giuseppe Campeis, che all’epoca tutelava la minorenne, ha però deciso di aggredire anche il trust che governava il gruppo Bernardi e quelli creati successivamente da Diego e Silvia Di Tommaso in favore della madre Fiorella Conchione, rimasta vittima di un incidente stradale che l’ha costretta su una sedia a rotelle.
Il trust è un istituto giuridico tipico del diritto anglosassone che consiste nel trasferimento di un patrimonio a un amministratore per realizzare una determinatà finalità.
In quest’ultimo caso Diego e Silvia Di Tommaso avevano trasferito a un trustee di Bologna (l’amministratore del trust) ville e appartamenti di lusso situati a Udine, Trieste, Roma, Grado, Milano, Bibione, Codroipo e Prato Carnico con l’obiettivo di garantire un’assistenza adeguata alla madre.
Secondo Campeis invece i trust avevano l’unico obiettivo di mettere i beni immobili di Diego e Silvia al riparo dalla sorellastra e di garantire alla madre un diritto d’uso vitalizio su una casa di pregio.
Contestazione che il giudice civile Andrea Zuliani ha sostanzialmente condiviso, dichiarandoli nulli «per impossibilità giuridica dell’oggetto, in quanto volti a creare una forma di segregazione patrimoniale non prevista e non consentita dal nostro ordinamento». La sentenza è stata appellata dalla controparte.
Esito opposto ha avuto invece l’assalto al trust di Bernardi che secondo il giudice Zuliani aveva l’obiettivo di «garantire continuità a una gestione unitaria e coordinata del gruppo di imprese, piuttosto che quello di regolare la successione nel suo patrimonio in deroga alle leggi italiane».
Anche questa sentenza però è stata impugnata dall’avvocato Miculan. La battaglia sull’eredità continua.
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