Deinfibulazione: si opera mentre aspetta un bimbo

di Martina Milia
E’ stata operata al Burlo a 17 settimane di gravidanza, con il supporto dei medici e della psicologa del consultorio Aied di Pordenone che l’ha seguita in tutto il percorso. E’ una donns africana, residente a Pordenone, la prima donna che si è sottoposta a un intervento di deinfibulazione all’ospedale triestino. Pordenone, del resto, è la provincia in cui si registra il maggior numero di bambine a rischio mutilazione genitale: 500 i casi potenziali.
L’intervento chirurgico – al quale ne farà seguito un altro nei prossimi giorni – rientra in un progetto, avviato un anno fa con fondi regionali e statali, che punta ad aiutare le donne che hanno subìto una mutilazione, arrivando alla ricostruzione dell’organo genitale. Ma non è solo chirurgia. «Il nostro lavoro – spiega Salvatore Alberico, direttore della Patologia ostetrica e ginecologica del Burlo – va oltre la sala operatoria. L’intervento di per sè non è complicato, ma si tratta di costruire un percorso intorno alla donna e alla sua famiglia che porti a questo. Tra il primo incontro e l’operazione, infatti, passa del tempo».
Alberico spiega che un tassello importante è il rapporto con i consultori: «Il caso di Pordenone ci è stato segnalato dall’Aied che ha seguito la paziente, una giovane donna tra i 20 e i 30 anni, in tutte le fasi». Altro elemento determinante è il dialogo con le comunità. «A Pordenone siamo stati al centro islamico a parlare con l’Imam. Questo non perché la religione abbia una connessione con queste pratiche, ma perché i Paesi in cui l’infibulazione si pratica sono a prevalenza musulmana. L’accoglienza che abbiamo ricevuto è stata buona».
L’immigrata operata è di prima generazione «ma ci sono bambine che nascono qui e che sono a rischio perché, quando le famiglie rientrano, anche per brevi periodi, nel Paese d’origine, ricevono pressioni affinchè le minori siano sottoposte a queste pratiche». La cultura di chi si trasferisce in Europa tende invece a cambiare. «I mariti per esempio sostengono le donne nella scelta di operarsi» precisa il medico.
La deinfibulazione in gravidanza, come nel caso dell’immigrata che vive nel Friuli occidentale, viene proposta anche per «aumentare le probabilità di un parto vaginale senza complicanze che portino a emorragie o infezioni. La signora già operata partorirà normalmente a Pordenone».
I casi chirurgici non sono molti – «due l’anno» conferma il medico – ma il lavoro di prevenzione è costante «e puntiamo a intensificarlo coinvolgendo progressivamente le immigrate di seconda generazione».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Messaggero Veneto