Annunci hard sul web, è solo pubblicità

Assolti due udinesi accusati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione per avere affittato alle escort spazi on line

UDINE. Gli annunci pubblicitari delle escort sul web? Niente di più di «un normale servizio in favore della persona». Parola della Corte di Cassazione. E, quindi, di tutti i magistrati chiamati a giudicare casi del genere. È stato così anche ieri, nell’aula del giudice monocratico del tribunale di Udine, Andrea Fraioli. Assoluzione «perchè il fatto non sussiste» la sentenza pronunciata nei confronti di Pietro Bolzanello, 55 anni, originario di Sassari e residente a Udine, e di Alessandro Bramante, 61, pure residente in città.

Per entrambi, l’accusa era di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. Di essersi arricchiti, cioè, “affittando” spazi pubblicitari in una serie di siti internet o curando la pubblicazione su alcuni giornali di una marea di annunci “a luci rosse”, spesso corredati da servizi fotografici con donne in atteggiamenti inequivocabilmente hard.

A mettere in discussione l’impostazione accusatoria formulata dalla Procura, un paio di anni fa, era stato il pronunciamento dei giudici di Cassazione in merito a vicende in tutto simili a questa. Il processo nel frattempo cominciato a carico di Bolzanello e Bramante e di un terzo imputato, l’allora 68enne Benedetto Zabeo, poi deceduto, aveva tuttavia continuato il proprio corso. Ma una volta approdati alla discussione e alle richieste finali, anche il pm d’udienza - il vpo Marzia Gaspardis - aveva rinunciato alla tesi iniziale, aderendo all’orientamento proposto dalla Suprema Corte. Anche la pubblica accusa, quindi, si era espressa per un verdetto di assoluzione.

Era toccato alla difesa, rappresentata per entrambi dall’avvocato Federica Tosel, ripercorrere le tappe della vicenda e metterle in stretta correlazione con le argomentazioni suggerite dalla Cassazione. L’inchiesta riguardava persone che, per ragioni di lavoro, aveva avuto modo di interagire con diverse prostitute. Proprio come succede a coloro che assicurano servizi o beni legati all’attività svolta, dall’albergatore al taxista.

Ebbene, la giurisprudenza ha stabilito che «la pubblicazione di inserzioni pubblicitarie sui siti web, al pari di quella sui tradizionali organi d’informazione a mezzo stampa, deve essere considerata come un normale servizio in favore della persona». Tutt’altra cosa rispetto al favoreggiamento, insomma, che risulta integrato «allorchè, alla mera pubblicazione, si aggiunga una cooperazione tra soggetto e prostituta, per allestire la pubblicità della donna, rendendo più allettante l’offerta».

In altre parole - come aveva ricordato anche l’avvocato Tosel nella sua arringa -, la Corte ha individuato un discrimine tra lecito e illecito nel passaggio da una prestazione di servizi “ordinari” a quella di «un supporto aggiuntivo e personalizzato».

Ed eccoci al caso che, a partire dal 2008, finì nel mirino dei carabinieri del Nucleo investigativo di Udine e che poi fu anche oggetto di un’analoga inchiesta della Procura di Padova. Nella sentenza del gennaio 2013 con la quale la Cassazione rigettò il ricorso del procuratore generale, confermando la dichiarazione di non luogo a procedere pronunciate dal gup di Padova per Bolzanello e Bramante, ai due imputati fu riconosciuta «una società che raccoglieva su base nazionale e poi pubblicava le inserzioni di persone dedite ad attività di prostituzione e lo facevano contando su un’organizzazione territoriale in tutto simile a quella cui si ricorre per qualsiasi attività pubblicitaria. Tale attività - si legge - veniva gestita secondo tariffe prestabilite, che non risultano eccedere le normali tariffe per inserzioni pubblicitarie».

Quelle che il pg aveva giudicato «prestazioni anomale o eccedenti l’ordinaria prestazione di servizi», per i giudizi di Cassazione consisteva in realtà «nel portare alle foto “ritocchi” mediante strumenti informatici». Episodi ritenuti numericamente assai contenuti e comunque banali. Da qui, la dichiarazione d’infondatezza delle censure. E da qui anche l’epilogo del processo concluso ieri a Udine con sentenza di assoluzione piena. Le indagini svolte dai carabinieri sotto il coordinamento del pm Claudia Danelon avevano portato a individuare in 28 donne le escort che, in cambio di somme variabili tra i 100 e i 600 euro, ottenevano dagli imputati la loro personalissima “vetrina” on line.

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