Tre generazioni tra i canestri: ecco la saga dei Di Prampero

la storia
Tre generazioni in campo: papà Marzio, classe 1937, quando ancora c’era la palla al cesto, il figlio Stefano, 1964, quando è diventato pallacanestro, il nipote Federico, 1995, oggi che è universalmente basket. È la famiglia Di Prampero, un’istituzione in città, che ha attraversato mezzo secolo e sullo sport dei canestri potrebbe scrivere un libro.
Marzio, il capostipite, pivot di 185 centimetri, ha cominciato con il Don Bosco, realizzando 23 punti nel primo derby che si ricordi in città, per poi passare alla Romolo Marchi in serie B e quindi a Codroipo in C. «Anni straordinari – racconta – assieme a Tonino Zanussi, Bosari, Ponticiello, Zaghis, Alberghetti, Bernardotto e capitan Sergio Ferrin: eravamo pionieri. Si giocava anche in campi all’aperto, una volta a Vicenza abbiamo dovuto spalare la neve pur di giocare. Ho passato 45 anni tra i canestri: oltre che giocatore, dirigente della Postalmobili e consigliere regionale della Fip». E storico speaker del Forum.
Il figlio Stefano, ala di 193 centimetri, dopo le giovanili con la Postalmobili ha giocato a Gorizia, Conegliano e Oderzo, e in serie B con la Castor Pordenone, e anche con la Crup di Buset e il Porcia. «Troppo estroverso, impulsivo – racconta di lui il papà Marzio – tecnicamente completo, aveva un grande senso del passaggio, un attaccante nato, non ha fatto carriera di serie A solo per il suo carattere fuori dagli schemi». Il ricordo più bello, ricorda Stefano, «è una tournee di 25 giorni nel 1983 a Taiwan con McGregor. Quell’anno aveva allenato a Pordenone e aveva formato una squadra: c’erano anche Davide Lot, Disma Perin, Rino Puntin e Maurizio Migliore, e giocammo con le maglie azzurre dell’Italia. Giocammo un torneo internazionale e due amichevoli a Singapore e Hong Kong».
Federico è invece un play guardia del 1995, cresciuto nel Nuovo basket per poi giocare nella Benetton e a Casale, con il Pienne in serie B, in A2 ad Agropoli e Rieti, poi ancora a Salerno, Lecco e Mestre.
«Non mi assomiglia – dichiara papà Stefano – siamo due giocatori diversi. Lui è molto quadrato, disciplinato, buon difensore e dunque non può proprio essere come me che fino a 30 anni ho pensato al basket solo in termini egocentrici. È completo come bagaglio tecnico, ha le caratteristiche giuste per tornare a giocare a un livello alto». —
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