Pentore: «Pordenone, ora ripaga Lovisa»

Parla l’ex bomber neroverde, “gemello del gol” dell’attuale presidente negli anni 90: «Gli sforzi di Mauro vanno premiati»

LIGNANO. È una bella giornata di sole a Lignano, una delle ultime di questa lunga estate. Il cielo è azzurro, limpido. Di fronte, la darsena e la laguna. Soffia un leggero venticello: il clima ideale per una chiacchierata. E così, vinta l’iniziale ritrosia, Andrea Pentore, classe ’66, sbobina il nastro.

L’ex bomber del Pordenone torna a parlare dopo tanto. Lui, uno dei giocatori che il popolo neroverde non ha mai dimenticato: i suoi gol, e quelli di Mauro Lovisa, portarono i "ramarri" dalla Promozione all’Interregionale nel giro di due anni (1994-1996).

Erano i “gemelli del gol” neroverdi. «Che emozioni: rappresentavo la mia città», racconta lui, pordenonese doc, trapiantato sul litorale. Segue poco, ora, la squadra; ma spera «di tornare presto al Bottecchia» e – lui che conosce molto bene Lovisa – suggerisce ai giocatori: «Mauro ha fatto grandi sforzi, va ripagato. Ora devono dare tutto per portare in alto il Pordenone».

Pentore, da quel 1996 mai più in via Stadio. Conferma?

«E’ vero. L’ultima volta che ho visto i neroverdi era nei primi anni del 2000: una sfida in trasferta col Sevegliano. Non è stata una bella esperienza: vedere le due squadre più importanti della mia carriera giocare contro, e io non poter essere in campo, mi ha fatto stare male. Da allora non ho più visto i ramarri».

Lei, cresciuto a Pordenone, che si ritrovò a giocare al Bottecchia: cosa rappresentava?

«Tantissimo. Ho passato infanzia e adolescenza a Roraigrande, vestire quella maglia era un sogno. Anche perché non pensavo di arrivare così in alto. Avevo iniziato a giocare tardi, a 11 anni, perché prima c’era il tennis. Ho faticato all’inizio, mi muovevo d’istinto in campo. Mi è mancato il percorso in cui si insegna la tecnica: l’ho acquisita un po’ alla volta, ma segnavo un sacco di gol soprattutto perché ero veloce».

In neroverde arrivò a 28 anni: ci racconta l’esperienza?

«Giocavo a Porcia, con Bruno Antoniazzi in panchina. Un tecnico, ex neroverde peraltro, che credeva in me. Aveva notato in me qualcosa: ogni fine allenamento lavorò per migliorarmi sottoporta. Col passare del tempo ero diventato un cecchino. Giocavo poi per passione, mi piaceva un sacco stare in campo: mi divertivo. Non sentivo le partite, in particolare. Per questo mi chiamò Tita Da Pieve: erano anni di ricostruzione, la squadra doveva vincere. “Voglio te perché so che reggi la pressione del Bottecchia”. Accettai subito, per me era un sogno».

Pentore non falliva mai le gare importanti.

«Erano situazioni che mi “gasavano”. Poi tifavo Pordenone, davo tutto. E mi bastava anche giocare un quarto d’ora: sapevo di fare gol. E infatti ne feci tanti, molti decisivi, tra cui quello dello spareggio per salire in serie D col Rovigo, nella sfida poi vinta ai rigori. Sono stati anni strepitosi, con un grande gruppo, affamato di vittorie, con Setten che voleva investire».

Lei e Lovisa davanti, coppia infallibile.

«Ci completavamo. In campo giocavamo a memoria. Da lui ho imparato tanto, era molto più tecnico di me: il suo tocco d’interno, poi esterno e tiro sul secondo palo non ce l’aveva nessun’altro. Quanti gol timbrati assieme. Io avevo altre caratteristiche».

Poi, però, la cessione a novembre nel campionato di serie D.

«Partivo in quel torneo per fare solo il calciatore: mi impegnai ancora più del solito. Pronti via e segno subito al Santa Lucia e alla Sanvitese in coppa Italia. Ero nel pieno delle potenzialità. Poi la società decise di vendermi: mi opposi, perché volevo stare a Pordenone. Rigo (il presidente di allora, ndr) continuava a chiamarmi, ma a me non interessava. Preferivo smettere. Alla fine andai a Portogruaro, ma giocai poco perché m’infortunai. Poi andai a Sevegliano, quindi a Gonars, ma il mio cuore era neroverde».

E ora come vede questa società, lei che conosce bene Lovisa?

«Sta crescendo. Dopo un anno di esperienza in Lega Pro ha capito cosa non deve più fare. Pordenone deve ringraziare Mauro: sta dando tutto, sta portando in alto nel calcio una città che non ha molta tradizione. Qualche difetto ce l’ha, come tutti, ma quali colpe gli puoi imputare? I ragazzi ora devono ripagarlo, dimostrare di aver meritato la fiducia: il mio gruppo, quello del 1994-1996, vinse perché dava qualcosa più degli altri, perché onorava la maglia».

Pentore, ma al Bottecchia tornerà?

«Vorrei farlo quest’anno. Ci sono tanti volti che conosco: Andrea Toffolo, che giocò con me a Sevegliano, Matteo Tomei, che è un amico. Lui mi ha parlato molto bene di mister Tedino, che non conosco ma so essere molto preparato. Spero di farcela, di vincere l’emozione: in fondo al Bottecchia ho vissuto gli anni più belli, assolutamente indimenticabili».

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