Merci Milan, il friulano conquista la maglia verde al Tour de France: è il terzo italiano a riuscirci
Il 24enne di Buja chiude una Grande Boucle memorabile, con due vittorie di tappa e la conquista della prestigiosa classifica a punti

Chissà a cosa pensava quando, cinque-sei anni, fa nonno Eligio, innamorato della bici, lo accompagnava da Buja a Montichiari a girare in pista con mostri sacri della Nazionale come Filippo Ganna. Forse a partecipare alle Olimpiadi un giorno e a prendere una medaglia. Chissà a cosa pensava quando, a fine agosto 2020, mentre Pogacar si preparava a stupire il mondo attanagliato dalla pandemia prendendosi il primo Tour, tornava in hotel dopo aver vinto a Rosà nel Vicentino la prima volata della sua vita, al Giro d’Italia Under 23. Forse a vincere un giorno in Francia
Con l’oro olimpico al collo, Mondiali su pista, tappe al Giro d’Italia e tanto altro, domenica 27 luglio Jonathan Milan, dopo aver vinto due tappe con due secondi posti, ha finito a Parigi il suo primo Tour de France salendo sul podio, con dietro l’Arco di Trionfo, per prendersi la maglia verde della classifica a punti. Terzo italiano della storia dopo Franco Bitossi e Alessandro Petacchi, l’ultima volta per un azzurro, 15 anni.
Così Milan, emozionato come non mai sul podio, con proprio davanti a lui in tribuna i genitori Elena e Flavio (ex corridore, che gli ha passato il Dna del campione, la mamma tutto il resto) e la fidanzata Samira, ha salvato l’onore del ciclismo italiano, ridotto a 8 uomini alla fine della Grande Boucle e che senza Jonathan, che ha ridato agli azzurri un successo di tappa atteso sei anni, ha raccolto davvero pochino.
A 24 anni il friulano, residenza a Montecarlo, 2,4 milioni di stipendio dalla sua Lidl Trek, in linea con le ruote veloci più forti del lotto, ormai è una star.

Ma oltre ai watt di potenza in cui eccelle (oltre 2 mila, una specie di moto) in pista e su strada, sprintando ogni giorno ai traguardi volanti per la maglia verde e resistendo su Pirenei e Alpi, terrificanti per gli scalatori figurarsi per un ragazzone da 88 kg, il friulano ha dimostrato tenacia da vendere. Ci aggrappiamo a lui, a Filippo Ganna, sfortunato alla Boucle perché caduto e ritirato alla prima tappa o, in prospettiva, al baby Giulio Pellizzari per la classifica generale, per il futuro. Sono lì a difendere il ponte. Attendono rinforzi. A naso, a breve ne arriveranno pochi.
La pioggia di Montmartre
L’ultima tappa era tra le più attese e discusse. Il circuito dei Campi Elisi, sacrario dei velocisti, era stato sfregiato dai tre (spettacolari per carità) passaggi sulla collina di Montmartre. Con la pioggia e quel pavè pericolosissimi. E infatti la pioggia è arrivata puntuale alle 19 della sera. Gli organizzatori l’avevano prevista e avevano neutralizzato la tappa prima del circuito finale. Inutile rischiare. Ma il re sloveno mica si è tirato indietro. Infischiandosene dei pericoli dell’acqua, si è rimesso in modalità classiche del nord. E s’è divertito a correre un mini-Giro delle Fiandre, aprendo il gas in ognuno dei tre passaggi sulla salita e portandosi dietro specialisti come Wout Van Aert e Matteo Jorgenson (Visma) o l’altro sloveno Matej Mohoric (Bahrain) e la bravissima coppia di azzurri Matteo Trentin (Tudor) e Davide Ballerini (Astana). Troppo duro il circuito finale come previsto per i velocisti, re Jonathan compreso. Ultima salita sotto il Sacro Cuore, 6 km dalla fione, Jorgenson prepara il terreno al violentissimo attacco di Van Aert, fuoriclasse che punta a questa tappa da tutto il Tour. Si arrende Re Tadde. Il belga Vince sui Campi Elisi la decima tappa al Tour. Con grande merito. Bravo Ballerini, secondo.
Il dominatore
Il rispetto con cui Pogi ha corso anche l’ultima tappa, rischiando di farsi male, dà l’idea dello spessore del campione. Lo sloveno voleva vincere anche a Parigi. Ma ha dominato la corsa, battagliando nei primi giorni al nord con cacciatori di tappe come Mathieu Van der Poel, aprendo la forbice sui rivali, specialmente Jonas Vingegaard (Visma), che da un anno preparava la rivincita del 2024, nella crono di Caen, dominando sull’Hautacam e controllando, si fa per dire, fino a Parigi. Nessuno dei big l’ha staccato di un centimetro in salita. Ha finito stanco? Non scherziamo, ma l’avete visto ieri? Vingegaard ha chiuso a 4’24”, un abisso.
Ah, il 26enne sloveno, tra l’altro quest’anno ha anche vinto un paio di corsette. Tra l’altro Strade Bianche, Fiandre, Freccia, Liegi, Delfinato, è arrivato secondo alla Parigi Roubaix e all’Amstel e terzo a Sanremo. Meno cannibalesco? Sempre più extraterrestre. Alla Merckx. Di più? Lasciamo ogni marziano alla sua epoca e son tutti felici.
Entro un paio di giorni deciderà se andare, come previsto, alla Vuelta. Ritroverà Vingegaard. Per l’aria che tira nelle ultime due stagioni, auguri al danese.
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