Maurizio Ganz: «Sono un friulano che vive a Milano. A Tarvisio il mio cuore e il mio camp per i ragazzi»
L’ex bomber di Milan e Inter racconta le sue radici, il nuovo libro autobiografico e la voglia di restituire al Friuli ciò che gli ha dato: «Con la combinata nordica ho imparato resistenza e coraggio, ma il mio sogno è sempre stato il calcio»

«Sono un friulano che vive a Milano». La frase racchiude tutto l’orgoglio di Maurizio Ganz per le sue origini. Non dimentica dov’è iniziata la sua storia, l’ex centravanti di Inter e Milan. Uno dei protagonisti di San Siro approda oggi in libreria grazie all’uscita del suo libro autobiografico. Nato a Tolmezzo e cresciuto a Tarvisio, l’ex giocatore sottolinea con fierezza il legame con la sua terra d’origine, dove ha mosso i primi passi e da cui manca dal 1982, anno in cui è passato alla Sampdoria.
Ganz com’è nata l’idea di scrivere questo libro?
«Me l’ha proposto Tiziano Marino, il giornalista con cui ho poi collaborato. Era un’idea che avevo da tanto tempo assieme a mia moglie. Per me era un sogno raccontare cos’è successo nella mia carriera: non solo gli episodi che riguardano il giocatore, ma anche sottolineare tanti aspetti umani. Il coro che mi hanno dedicato “El segna semper lu” è un po’ l’emblema del mio percorso: in quella frase c’è la voglia che ho di provare a lasciare sempre il sogno. È un libro che dedico alla mia famiglia: mia mamma Franca, mio papà Ettore, mia sorella Ilenia, suo marito Giorgio, mia nipote Ilaria, mia moglie Monica e i miei figli Simone Andrea e Lisa».
Vive da più di quarant’anni fuori dal Friuli, ma la sua storia è partita da qui.
«Il legame con la mia terra d’origine c’è sempre stato. Mi piaceva portare in giro il nome del Friuli quando giocavo. E mi piace dire da dove provengo anche ora che alleno. Sono nato a Tolmezzo e mi sono trasferito coi miei genitori a Fusine all’inizio degli anni ’70. Tuttora a Tolmezzo abitano i miei zii Nadia e Claudio, assieme ai miei cugini Federica e Riccardo, che con Misha ringrazio per quello che hanno fatto nella mia vita».
È vero che da ragazzo praticava combinata nordica?
«Certo. Allora, dalle mie parti, otto mesi all’anno c’era la neve. Mi allenavo con Gabriella Paruzzi, poi campionessa olimpica di sci di fondo, e con i fratelli Cecon, saltatori con gli sci. A me tuttavia piaceva il calcio, che praticavo d’estate. La combinata mi ha aiutato nel pallone: il fondo mi ha dato la resistenza, il salto il coraggio».
Quando la svolta del suo percorso calcistico?
«Un torneo a Bologna, in cui fu notato da Domenico Arnuzzo, dirigente della Sampdoria. “Questo è da prendere”, disse al presidente Mantovani. Mi avevano già scartato Udinese, Inter, Atalanta. Arrivai a Genova nell’agosto del 1982. Ero con Michele Zanutta e Giuliano Leban. Esordii in A nel 1986 a 17 anni».
Quattro promozioni in Serie A con Parma, Brescia, Atalanta e Ancona, lo scudetto col Milan, i tanti gol segnati (204 in tutto). A cosa è più legato?
«La stagione della consacrazione è stata quella dei 14 gol in A con l’Atalanta (1992-1993, ndr). Le migliori stagioni sono state quella del 1996-1997 delle 20 reti complessive con l’Inter e quella del 1998-1999 dello scudetto col Milan. Mister Zaccheroni aveva portato allora qualcosa di nuovo, la difesa a 3. Importante fu il passaggio di modulo dal 3-4-3 al 3-4-1-2».
Il compagno più forte con cui ha giocato e quello con cui ha il rapporto d’amicizia più importante?
«Il più forte Ronaldo. Per quanto riguarda l’amicizia, Sergio Porrini, Massimo Carrera e Beppe Bergomi».
Tornando in Friuli, cosa l’ha spinta a ideare il camp estivo di Tarvisio e cosa la spinge ancora a organizzarlo?
«Voglio ridare a Tarvisio e alla mia terra ciò che mi ha dato. Io sono un friulano che vive a Milano. Mi fa piacere dare la possibilità ai ragazzi di vivere una settimana da professionisti. Il camp è partito dodici anni fa assieme a mio papà, mio figlio, Federico Segato e Andrea Cainero. Da tre anni siamo presenti anche ad Arta Terme. Si struttura su due settimane, durante le quali io ci sono sempre».
Ganz, lei ora allena il Magenta in Eccellenza lombarda. Per quattro anni ha guidato il Milan femminile. Come valuta quell’esperienza?
«Molto formativa. Ho trovato uno spogliatoio diverso da quello maschile e perciò mi sono dovuto reinventare. Le donne hanno grande voglia di allenarsi. Bisogna aiutare il calcio femminile, sostenendo magari le società meno strutturate. I vivai crescano sempre di più a livello numerico, ma servono aiuti».
La nazionale maschile, invece, si qualifica ai Mondiali del prossimo anno?
«Lo spero. Un mondiale senza l’Italia sarebbe triste. Abbiamo di fronte squadre alla nostra portata. Se dovessimo arrivare agli spareggi, troveremmo altre rivali superabili».
Un rammarico?
«Aver collezionato due panchine in nazionale senza mai esordire. Inoltre indico la traversa colpita nei tempi supplementari della finale di coppa Uefa del 1997, giocata con l’Inter al cospetto dello Schalke 04: un gol ci avrebbe permesso di alzare il trofeo (di cui è stato capocannoniere ndr)».
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