Martin Jorgensen a 39 anni dice basta al pallone

Il danese, a Udine dal 1997 al 2004, si ritira. Lo attende un futuro da dirigente dell’Aarhus

UDINE. Martin Jorgensen ha deciso di dire stop. A 39 anni suonati Martino – come venne affettuosamente chiamato nelle due tappe della sua avventura italiana a Udine e a Firenze – smetterà infatti di essere un calciatore professionista al termine del suo contratto con l’Aarhus per entrare a far parte della dirigenza del club danese che lo ha lanciato.

A Udine, Jorgensen, è stato tutto tranne che un giocatore, e un personaggio, qualsiasi. Da queste parti, si sa, transitano centinaia di giocatori l’anno tra tesserati ed elementi in prova, ma in pochi sono capaci di lasciare un segno indelebile nel cuore dei tifosi bianconeri. Martino è stato uno di quelli. Un ragazzo che nei suoi sette anni in Friuli – 184 presenze e 30 reti spareggio Uefa con la Juventus compreso – ha conquistato tutti con stile, classe, eleganza e professionalità. Dotato di quell’innata educazione e rispetto per gli altri che soltanto i nordici possiedono sin dalla culla, in Italia ha giocato in ogni posizione del campo tranne che in porta.

Nato come esterno di centrocampo, a Marassi fu schierato al posto di Bierhoff contro la Samp con Zaccheroni che gli chiese di «fare il tergicristallo in attacco» e lui la buttò dentro due volte. A Firenze, poi, si inventò una seconda gioventù come terzino destro dopo l’infortunio di Ujfalusi. Da queste parti, insomma, gli vogliono bene ancora tutti soprattutto per quell’umanità e quella simpatia – tagliente – con cui affronta da sempre la vita. Come quella volta sul neutro di Reggio Emilia, contro il Toro: alla fine gli chiesero della sua straordinaria prestazione del secondo tempo e lui rispose sorridendo: «Per forza, ero all’ombra». E un personaggio così, senza dubbio, avrebbe meritato un commiato migliore dal “suo” Friuli. L’Udinese, invece, nell’estate del 2005 – dopo averlo ceduto in comproprietà l’anno precedente alla Fiorentina – lo scaricò non inserendo in busta nemmeno un euro. Peccato, ma d’altronde anche Jorgensen sa, da professionista navigato, che la riconoscenza non appartiene alla realpolitik del calciomercato.

Mattia Pertoldi

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